Secondo quanto riportato dall’Agenzia Nova, nel rapporto numero 23, redatto dalla missione di appoggio dal processo di pace dell’Organizzazione degli Stati Uniti americani (Mapp-Osa), sull’evoluzione degli accordi di pace viene fatto “un plauso al percorso di inserimento degli ex guerriglieri delle Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia) nella vita civile e al “cessate il fuoco” stabilito con l’Esercito di liberazione nazionale (Eln)”. Ma viene espressa anche preoccupazione per la “percezione di insicurezza” che continua a regnare nelle comunità rurali del paese.
Il rapporto riconosce gli “sforzi del governo in materia di sicurezza, grazie alla creazione e implementazione” degli istituti di polizia e investigativi ad hoc, ma concentra al tempo stesso l’attenzione sulle diverse “minacce per la pace”: la “perdurante violenza tra gruppi armati illegali di diversa natura, che si contendono il controllo delle economia illegali e i territori abbandonati dalle Farc sta generando gravi danni alla popolazione civili principalmente a livello rurale”, segnala la nota della missione. Come risultato, “le comunità contadine, indigene e afrodiscendenti si vedono sottoposte a estorsioni, confinamento, sfollamenti, violenze di genere e reclutamento di minori”.
Le preoccupazioni delle comunità rurali per la sicurezza sono state anche di recente motivo di proteste. Le comunità indigene hanno per giorni dato vita a una manifestazione – conosciuta col nome di “minga” – che ha bloccato alcune importanti vie di comunicazione nel paese. Proteste ritirate grazie a un’intesa la cui durata si vedrà nei prossimi giorni. Dalla firma degli accordi di pace, era la denuncia di alcune organizzazioni locali, già 56 rappresentanti delle comunità sarebbero stati uccisi dalle organizzazione criminali che imperversano sul territorio. Ma non è solo la mancanza di adeguata copertura delle forze di sicurezza a spingere i contadini alla protesta. Negli accordi elaborati all’Avana, le parti avevano stabilito che i contadini avrebbero dovuto provvedere in autonomia a sradicare il 50 per cento delle coltivazioni di cocaina in cambio di alternative economicamente valide e sostenibili. Il restante 50 per cento doveva essere divelto direttamente dalle forze di sicurezza. I leader contadini denunciano una mancata applicazione di questa parte dell’accordo, con poche alternative valide offerte alla produzione di cocaina e nessun lavoro di coordinamento con le forze dell’ordine – a detta dei manifestanti – che si limitano a fare incursioni indiscriminate nelle terre.
Il 24 novembre del 2016 il governo colombiano del presidente Juan Manuel Santos e l’ex guerriglia delle Farc firmavano l’accordo che metteva fine a una guerra interna durata oltre 50 anni. Avviati ufficialmente nel settembre del 2012, i negoziati hanno in primo luogo portato al disarmo dei ribelli e reso possibile la partecipazione dell’organizzazione alla vita politica del paese. Consegnate le armi a una missione delle Nazioni Unite, gli ex guerriglieri si sono radunati in campi di raccolta allestiti dal governo per ricevere una prima assistenza e poter essere identificati prima di abbandonare definitivamente la selva – per decenni loro teatro d’azione – e rientrare nella vita civile. Grazie agli accordi, l’ex guerriglia ha potuto organizzarsi in un partito politico che avrà la sua rappresentazione al parlamento colombiano. Alla fine di agosto si è infatti celebrato il congresso fondativo del partito “Fuerza Alternativa Revolucionaria del Comun” (Forza alternativa rivoluzionaria delle comunità), sigla che conserva intatto l’acronimo Farc.
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