Con tasse record in Ue e con una spesa sociale tra le più basse d’Europa, in Italia il rischio povertà o di esclusione sociale ha raggiunto livelli di guardia molto preoccupanti. L’analisi è stata realizzata dall’Ufficio studi della CGIA.
In questi ultimi anni di crisi, infatti, alla gran parte dei Paesi mediterranei sono state “imposte” una serie di misure economiche di austerità e di rigore volte a mettere in sicurezza i conti pubblici. In via generale questa operazione è stata perseguita attraverso uno smisurato aumento delle tasse, una fortissima contrazione degli investimenti pubblici e un corrispondente taglio del welfare state.
“Da un punto di vista sociale – fa sapere il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – il risultato ottenuto è stato drammatico: in Italia, ad esempio, la disoccupazione continua a rimanere sopra l’11 per cento, mentre prima delle crisi era al 6 per cento. Gli investimenti, inoltre, sono scesi di oltre 20 punti percentuali e il rischio povertà ed esclusione sociale ha toccato livelli allarmanti. In Sicilia, Campania e Calabria praticamente un cittadino su 2 si trova in una condizione di grave deprivazione. E nonostante i sacrifici richiesti alle famiglie e alle imprese, il nostro rapporto debito/Pil è aumentato di oltre 30 punti, attestandosi l’anno scorso al 131,6 per cento”.
In questi ultimi anni la crisi ha colpito indistintamente tutti i ceti sociali, anche se le famiglie del cosiddetto popolo delle partite Iva ha registrato, statisticamente, i risultati più preoccupanti. Il ceto medio produttivo, insomma, ha pagato più degli altri gli effetti negativi della crisi e ancora oggi fatica ad agganciare la ripresa.
“A differenza dei lavoratori dipendenti – fa notare il Segretario della CGIA Renato Mason – quando un autonomo chiude l’attività non beneficia di alcun ammortizzatore sociale. Perso il lavoro ci si rimette in gioco e si va alla ricerca di una nuova occupazione. In questi ultimi anni, purtroppo, non è stato facile trovarne un altro: spesso l’età non più giovanissima e le difficoltà del momento hanno costituito una barriera invalicabile al reinserimento, spingendo queste persone verso impieghi completamente in nero”.
Ritornando ai dati della ricerca, In Italia la pressione tributaria (vale a dire il peso solo di imposte, tasse e tributi sul Pil) si attesta al 29,6 per cento (anno 2016). Tra i nostri principali paesi competitori presenti in Ue nessun altro ha registrato una quota così elevata. La Francia, ad esempio, ha un carico del 29,1 per cento, l’Austria del 27,4 per cento, il Regno Unito del 27,2 per cento i Paesi Bassi del 23,6 per cento, la Germania del 23,4 per cento e la Spagna del 22,1 per cento.
Al netto della spesa pensionistica, il costo della spesa sociale sul Pil (disoccupazione, invalidità, casa, maternità, sanità, assistenza, etc.) si è attestata all’11,9 per cento. Tra i principali paesi Ue presi in esame in questa analisi, solo la Spagna ha registrato una quota inferiore alla nostra (11,3 per cento del Pil), anche se la pressione tributaria nel paese iberico è 7,5 punti inferiore alla nostra.
Tutti gli altri, invece, presentano una spesa nettamente superiore alla nostra. In buona sostanza siamo i più tartassati d’Europa e con un welfare “striminzito” il disagio sociale e le difficoltà economiche sono aumentate a dismisura (vedi Tab.1).
Il rischio di povertà o di esclusione sociale tra il 2006 e il 2016 è aumentato in Italia di quasi 4 punti percentuali, raggiungendo il 30 per cento della popolazione. In buona sostanza le persone in difficoltà e deprivazione sono passate da 15 a 18,1 milioni. Il livello medio europeo è invece salito solo di un punto, attestandosi al 23,1 per cento: 6,9 punti in meno rispetto alla nostra media. In Francia e in Germania, invece, in questi 10 anni il rischio povertà è addirittura diminuito e attualmente presentano un livello di oltre 10 punti in meno al dato medio Italia (vedi Graf. 1)
A livello regionale la situazione al Sud è pesantissima. Gli ultimi dati disponibili riferiti al 2016 ci segnalano che il rischio povertà o di esclusione sociale sul totale della popolazione ha raggiunto il 55,6 per cento in Sicilia, il 49,9 per cento in Campania e il 46,7 per cento in Calabria. Il dato medio nazionale, come dicevamo più sopra, ha raggiunto il 30 per cento (4,1 punti percentuali in più tra il 2006 e il 2016) (vedi Tab. 2).
ANNO 2016 | PRESSIONE TRIBUTARIA (*) |
SPESA SOCIALE (**) |
DIFF.
PRESSIONE TRIBUTARIA-SPESA SOCIALE |
Italia | 29,6 | 11,9 | +17,7 |
Francia | 29,1 | 17,5 | +11,6 |
Austria | 27,4 | 15,2 | +12,2 |
Regno Unito | 27,2 | 14,7 | +12,5 |
Paesi Bassi | 23,6 | 17,1 | +6,5 |
Germania | 23,4 | 15,4 | +8,0 |
Spagna | 22,1 | 11,3 | +10,8 |
Area Euro (19) | 26,0 | 14,6 | +11,4 |
Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Eurostat e Istat
(*) Imposte, tasse e tributi.
(**) Spesa per la protezione sociale e per la sanità al netto di quella pensionistica; la spesa pensionistica utilizzata per il confronto europeo è stata costruita a partire dalla base dati Eurostat “General government expenditure by function” aggiornata a marzo del 2018 e che recepisce le modifiche adottate dal nuovo sistema dei conti SEC 2010. In particolare, la spesa pensionistica è stata ottenuta come “proxy” sommando le due funzioni di spesa pubblica per la protezione sociale “old age” e “survivors”: queste funzioni comprendono la spesa per pensioni dirette IVS (ovvero le pensioni di anzianità, di vecchiaia e di invalidità) ed indirette IVS (ad es. la pensione che spetta al coniuge superstite e la pensione di reversibilità che spetta ai superstiti del pensionato), le erogazioni annuali da parte dei datori di lavoro in termine di TFR, alcune spese per servizi erogati a protezione della funzione di vecchiaia, le rendite infortunistiche indirette e le pensioni di guerra indirette.
Nella spesa sociale sono incluse le pensioni di invalidità con età inferiore a quella pensionabile e la quota di prepensionamenti che fanno capo alla funzione “disoccupazione” (anch’essa sottocategoria della spesa per la protezione sociale).
Graf. 1 – Il rischio di povertà o di esclusione sociale (*): negli ultimi 10 anni si è allargata la forbice tra Italia e resto d’Europa
(% popolazione a rischio)
Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Eurostat e Istat
(*) Rischio di povertà o di esclusione sociale: si tratta di un indicatore previsto da Europa 2020 (strategia decennale dell’Unione europea per la crescita e l’occupazione varata nel 2010 allo scopo di creare le condizioni favorevoli ad una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva).
L’indicatore esprime la percentuale di persone che si trovano in almeno una delle seguenti 3 condizioni:
- vivono in famiglie a rischio di povertà;
- vivono in famiglie in condizioni di grave deprivazione materiale;
- vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro.
Tab. 2 – Il rischio di povertà o di esclusione sociale (*): le 8 regioni del Mezzogiorno sono quelle più a rischio, in Sicilia più di 1 individuo su 2
(% popolazione a rischio)
Rank (2016) |
Regione | 2006 | 2016 | Punti % di var. in 10 anni |
1 | Sicilia | 47,8 | 55,6 | +7,8 |
2 | Campania | 44,5 | 49,9 | +5,4 |
3 | Calabria | 41,8 | 46,7 | +4,9 |
4 | Puglia | 45,0 | 42,2 | -2,8 |
5 | Basilicata | 36,2 | 40,0 | +3,8 |
6 | Sardegna | 31,5 | 38,0 | +6,5 |
7 | Molise | 30,8 | 37,0 | +6,2 |
8 | Abruzzo | 22,5 | 31,5 | +9,0 |
9 | Lazio | 22,5 | 30,8 | +8,3 |
10 | Marche | 18,9 | 24,4 | +5,5 |
11 | Liguria | 20,9 | 23,9 | +3,0 |
12 | Provincia di Trento | 10,1 | 23,5 | +13,4 |
13 | Umbria | 20,9 | 23,5 | +2,6 |
14 | Piemonte | 17,7 | 22,9 | +5,2 |
15 | Valle d’Aosta | 10,6 | 20,5 | +9,9 |
16 | Lombardia | 15,9 | 19,7 | +3,8 |
17 | Veneto | 16,0 | 17,9 | +1,9 |
18 | Friuli-Venezia Giulia | 18,8 | 17,7 | -1,1 |
19 | Toscana | 13,9 | 16,9 | +3,0 |
20 | Emilia-Romagna | 13,2 | 16,1 | +2,9 |
21 | Provincia di Bolzano | 11,2 | 9,6 | -1,6 |
Italia | 25,9 | 30,0 | +4,1 | |
Mezzogiorno | 42,3 | 46,9 | +4,6 | |
Centro | 19,1 | 25,1 | +6,0 | |
Nord-Ovest | 16,8 | 21,0 | +4,2 | |
Nord-Est | 14,8 | 17,1 | +2,3 |
Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Eurostat e ISTAT
(*) Rischio di povertà o di esclusione sociale: si tratta di un indicatore previsto da Europa 2020 (strategia decennale dell’Unione europea per la crescita e l’occupazione varata nel 2010 allo scopo di creare le condizioni favorevoli ad una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva).
L’indicatore esprime la percentuale di persone che si trovano in almeno una delle seguenti 3 condizioni:
- vivono in famiglie a rischio di povertà;
- vivono in famiglie in condizioni di grave deprivazione materiale;
- vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro.
NOTE:L’indicatore del rischio di povertà o esclusione sociale è dato dalla somma delle persone a rischio di povertà (a), delle persone in situazione di grave deprivazione materiale (b) e delle persone che vivono in famiglie a intensità lavorativa molto bassa (c). Le persone sono conteggiate una sola volta anche se sono presenti su più sub-indicatori.
- Le persone a rischio di povertà sono coloro vivono in famiglie con un reddito equivalente inferiore al 60 per cento del reddito equivalente mediano disponibile, dopo i trasferimenti sociali.
- Le persone in condizioni di grave deprivazione materiale sono coloro che vivono in famiglie che dichiarano almeno quattro deprivazioni su nove tra: 1) non riuscire a sostenere spese impreviste, 2) avere arretrati nei pagamenti (mutuo, affitto, bollette, debiti diversi dal mutuo); non potersi permettere 3) una settimana di ferie lontano da casa in un anno 4) un pasto adeguato (proteico) almeno ogni due giorni, 5) di riscaldare adeguatamente l’abitazione; non potersi permettere l’acquisto di 6) una lavatrice, 7) un televisione a colori, 8) un telefono o 9) un’automobile.
- Le persone che vivono in famiglie a intensità lavorativa molto bassa sono individui con meno di 60 anni che vivono in famiglie dove gli adulti, nell’anno precedente, hanno lavorato per meno del 20 per cento del loro potenziale.