(di Massimiliano D’Elia) Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte era stato chiaro, voleva chiudere la partita delle nomine degli incarichi di sottogoverno al consiglio dei ministri di oggi pomeriggio, previsto per le 15.30. Il ritardo è dovuto alle continue liti all’interno del Movimento, tanti i pretendenti per poco più di venti posti, sembra un attacco alla diligenza. Una immagine poco edificante per i grillini che da partito “apri scatolette di tonno” è diventato tonno, come “ha urlato” in piazza Giorgia Meloni.
Un atteggiamento, quello dei grillini, che non fa altro che avvalorare la tesi del leader della Lega, Matteo Salvini: sono diventati poltronari, da partito del popolo a partito dell’establishment. Giuseppe Conte è molto attento a non cedere pretesti e argomenti facili all’ormai dichiarato avversario politico, Matteo Salvini ed è per questo motivo che vuole imporre il proprio ritmo al Pd e M5S. Oggi dopo il Cdm, dove verrà trattata l’emergenza delle Ong che aspirano ad attraccare nei porti italiani, Giuseppe Conte parlerà con Di Maio e Dario Franceschini per dare loro una specie di “ultimatum”: entro stasera i nomi, prima dei numerosi impegni in scadenza per la compagine di governo, per un Cdm lampo già domani mattina.
Il progetto sarebbe quello di chiudere sulla squadra, scrive Il Messaggero, prima della partenza e poi procedere con il giuramento appena possibile cercando di incastrare il tutto nella fitta agenda del week-end, domani Conte sarà a Bari per la Fiera del Levante.
Gli incarichi a più alta tensione sono sono l’editoria e i servizi segreti. Conte ha già fatto capire che non vuole cedere la delega dei servizi, mentre Di Maio vorrebbe metterci uno dei suoi. Le pressioni sarebbero per Vito Grimi, che lascerebbe così vacante il posto all’editoria, dove sarebbe tornato in pole Walter Verini e conseguentemente sarebbero scese le quotazioni di Andrea Martella (entrambi del Pd). Nella squadra M5S sembrerebbero quasi certi Vittorio Ferraresi (Giustizia), Manlio Di Stefano (Esteri), Giancarlo Cancelleri (Mise), Claudio Cominardi o Davide Tripiedi (Lavoro), Stefano Buffagni e Laura Castelli (Economia), Mauro Coltorti (Mit), Giorgio Trizzino (Salute), Carlo Sibilla (Interno), Francesco D’Uva (Cultura), Angelo Tofalo (Difesa), Emilio Carelli (Editoria o Mise). In quota Pd, ma tra i renziani, si fanno avanti Anna Ascani (Istruzione), Luigi Marattin (Economia), Emanuele Piano (Interno), Simona Malpezzi (Istruzione). Sempre per il Pd ci sarebbero Antonio Misiani (Economia), Giampaolo Manzella (Mise), Lia Quartapelle e Marina Sereni (Esteri), Roberto Morassut e Debora Serracchiani. A Leu potrebbero andare, invece, due posti tra Michela Rostan e Rossella Muroni.
Viste le premesse Giuseppe Conte potrebbe avere maggiori grane con il governo giallo-rosso rispetto a quello giallo-verde. Un governo, quello giallo-rosso, nato tra due compagini che in realtà si detestano e che con la convivenza potrebbe implodere da un momento all’altro, una specie di “bomba ad orologeria”, dove il timer, in mano a Matteo Renzi e Luigi Di Maio, è pronto per essere avviato.
Il centrodestra che si sta ricompattando aspetta sulle sponde del fiume la prossima primavera quando termineranno le consultazioni elettorali per eleggere i governatori di 9 regioni (al voto ci saranno circa 30 milioni di italiani). Non oso immaginare cosa potrebbe accadere se tutte le nove regioni andassero al cdx.