(di John Blackeye) Ieri sera il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte dopo aver comunicato i contenuti dell’ultimo decreto, ha risposto ad un giornalista sulla “fase 2”, quando dopo il 13 aprile alcune attività potrebbero riaprire: “E quando questo accadrà, bisognerà comunque rispettare un severo protocollo di sicurezza. Il governo pensa alla fase 2, anche se – sottolinea il premier – non siamo in condizioni di anticipare una data. Ci stiamo costantemente confrontando con gli esperti e in questo momento ci riserviamo di seguire con loro l’evoluzione della curva. Anticipare ora, sarebbe dire una cosa priva di fondamento”.
Riaprire non vorrà dire tornare a quanto si faceva prima, perché le regole da rispettare saranno ancora più rigide, in strada, su mezzi trasporto e a lavoro. ”Dovremo sicuramente continuare a osservare la regola delle distanze e fare sacrifici ancora per un po’ – anticipa Conte – Dopo questa fase verranno più in evidenza protocolli di sicurezza a tutti i livelli, sia per il camminare per strada o prendere i mezzi di trasposto, sia per andare nei luoghi di lavoro. Già abbiamo adottato protocolli di sicurezza con le aziende molto rigorosi”.
Pare che l’emergenza coronavirus stia correndo su due binari paralleli. Uno è quello del contagio e l’altro è quello dell’economia. Gli industriali stanno tirando per la giacchetta il premier Conte che a causa di pressioni del settore, è costretto a dettare limitazioni di libertà a fini sanitari, solo per poche settimane, nella speranza che al più presto si possa dare semaforo verde alla nazione, dicendo a tutti che il mondo è ritornato quasi a quello di prima.
Ma entrambe le problematiche, sia quella del contagio sia quella dell’economia, hanno come unico fattore comune l’uomo e la sua salvaguardia con il suo benessere e, pertanto, non possono viaggiare su binari paralleli ma devono essere parte integrante di un unico percorso di riabilitazione nazionale nel quale l’uno non può escludere l’altro.
Gli industriali, nell’interesse delle aziende e dell’economia reale che necessità di essere alimentata dalla produzione, spingono per chiudere subito con questo benedetto problema e passare a quella che chiamano la fase 2 in cui, il mondo, dovrebbe tornare alla normalità.
Così mentre si continua a fare la conta dei deceduti e dei nuovi contagiati, si continua a parlare difase 2 come se questa fantomatica seconda vita, potesse cominciare a breve.
È chiaro che l’economia è l’anima di un Paese ma è altrettanto chiaro che le esigenze rappresentate dal settore industriale italiano non tengono in considerazione la situazione contingente e, pertanto, sono limitate a se stesse e non rappresentano quello che in questi casi dovrebbe prevalere su tutto: l’interesse pubblico.
Riaprire incondizionatamente alla produttività industriale significa mettere in moto il sistema di trasporto e con esso anche il movimento libero della masse di lavoratori e, per conseguenza, le relazioni interpersonali e i contatti tra la gente, anche se con le adeguate misure di protezione e il rispetto della distanza sociale.
Come è possibile pensare ad una riapertura del “sistema Italia” dopo il 13 aprile se a distanza di tre mesi dall’inizio della diffusione del virus in Italia non è stato ancora raggiunto il “picco” (anche su questo c’è ancora discordanza tra i virologi) e la fase discendente del contagio non è ancora così marcato da consentire di dire che ne siamo fuori?
Il 13 aprile, cioè fra una settimana, non saremo assolutamente nelle condizioni di riaprire la nazione per ricominciare da dove eravamo rimasti. Tra una settimana staremo facendo i conti con migliaia di nuovi contagiati al giorno. E se ancora ieri si contavano quasi tremila nuovi contagi in un regime di polizia e di restrizioni della libertà che l’Italia non ha vissuto, probabilmente, nemmeno ai tempi della Guerra, cosa potrebbe succedere se all’improvviso eliminassimo gli unici ostacoli che siamo riusciti a mettere tra noi e il virus?
La produttività industriale è fondamentale ma dobbiamo considerare che il problema riguarda tutto il pianeta, tutte le economie internazionali. Dobbiamo comprendere che quello che sta succedendo è qualcosa di straordinario, qualcosa di mai visto prima. E di fronte ad eventi straordinari, le reazioni devono essere straordinarie. Ritornare alla produzione e alla riapertura delle fabbriche come se nulla fosse, non mi pare abbia questa caratteristica di eccezionalità ma sarebbe un errore così grave che credo nessuno voglia commettere in questo particolare frangente.
Dobbiamo prima mettere in sicurezza il paese, dobbiamo salvare le vite umane, e se l’economia e la finanza prediligono gli utili agli uomini, beh, se ne facciano una ragione.
Prima vinciamo e prima ne usciamo. Ma uscire fuori di casa quando fuori c’è ancora una forte tempesta comporta solo un risultato: si viene definitivamente travolti…e non è quello che tutti siamo in attesa di vedere.