di Giovanbattista Trebisacce, Professore di Pedagogia generale Università degli studi di Catania e Socio AIDR
George Orwell…. Se lo scrittore britannico fosse vissuto più a lungo dei suoi quarantasette anni, probabilmente, lo ricorderemmo con ancora più fascino e mistero per via delle sue “profezie”. Non c’è stata cosa nata dall’immaginazione di Orwell che non si sia avverata… Basti pensare al romanzo 1984 (una sorta di grande fratello contemporaneo: oggi milioni e milioni di telecamere disseminate per la Terra controllano costantemente i nostri spostamenti) oppure alla Rete e ai social network, dove si opera un controllo costante attraverso la cosiddetta “profilazione” o alla Fattoria degli animali, magnifico racconto allegorico che potrebbe rappresentare oggi “la retorica dell’uno vale uno” (tutti gli animali sono uguali) e della “democrazia dal basso, del popolo che combatte l’establishment per poi farsi establishment a sua volta…”. Orwell, però, dimostra una lungimiranza, a dir poco profetica, nelle sue considerazioni più profonde indirizzate ad analizzare il rapporto dell’uomo con la verità. Le sue riflessioni denunciano con fermezza i rischi di una verità deformata, prona al servizio della propaganda, della retorica e del nazionalismo (oggi sostituito dal sovranismo), una verità prigioniera delle notizie, condizionata se non annichilita dai limiti alla libertà di espressione. Riferimenti questi tremendamente attuali a causa delle tante verità reperibili sul web, prolificate in maniera esponenziale e che svuotano, però, di significato profondo il concetto di veridicità. Qualsiasi testata giornalista, ogni sito online, qualsiasi pagina Facebook diffonde la propria verità; i fatti vengono confusi con le opinioni, le fake news conquistano la ribalta relegando la corretta informazione a mera eccezione, il clickbait (sorgente del sensazionalismo) diventa linea editoriale. Una selva oscura per chi ha il solo desiderio di informarsi… Esplicative al riguardo sono le parole di Papa Francesco, tratte dal suo Il vangelo del sorriso: “Stranamente, non abbiamo mai avuto più informazioni di adesso, ma continuiamo a non sapere che cosa succede”.
Un’inversione di rotta rispetto ai principi sacri del diritto all’informazione e della storiografia da sempre legati al pluralismo delle notizie e delle fonti. Lo stesso pluralismo che oggi garantisce il moltiplicarsi dei canali di disinformazione e che permette ad una fake news di proveniente dai social o dalla rete di conquistare le prime pagine anche dei maggiori organi di informazione tradizionali. Occorre, dunque, una “dieta informativa e formativa” caratterizzata da una forte propensione alla cross medialità attiva, realizzabile solo attraverso un rapporto continuo con le fonti informative al fine, però, di approfondire, verificare, incrociare notizie e dati per non restare vittime della disinformazione. Un overloading informativo che, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, è un male molto più insidioso del Covid 19: l’infodemia. Tale neologismo rappresenta accuratamente la saturazione di informazioni, solitamente poco accurate e verificate, fake news, sensazionalismo che, in tempi di pandemia, hanno provocato aumenti vertiginosi di paure e ansie.
A tutto questo aggiungiamo gli algoritmi matematici (vero e proprio cuore dei social network e dei motori di ricerca) che, attraverso processi di profilazione, scelgono le notizie che dobbiamo leggere, i prodotti che dobbiamo acquistare, e il gioco è fatto…
Secondo un rapporto sul consumo di informazione dell’AgCom (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni), il 54,5% degli utenti accede all’informazione attraverso i social network e i motori di ricerca. Un processo dunque che altera la nostra percezione della realtà che si configura ai nostri occhi in modo parziale e pregiudizievole. Il futuro dell’informazione non può prescindere da un forte richiamo alla responsabilità collettiva, la notizia non può essere trasformata in prodotto e i giganti della tecnologia devono essere soggetti a regole chiare, precise e insuperabili.
Mi piace chiudere queste brevi considerazioni citando un altro grandissimo autore del Novecento, il nostro Luigi Pirandello, per il quale non esiste una sola verità, ma esistono tante verità quanti sono coloro che credono di possederle. In Così è (se vi pare), quando alla moglie del signor Ponza viene chiesto di risolvere il mistero sulla propria identità, la donna, incarnazione della verità pirandelliana, con il viso coperto da un velo nero, risponde di essere allo stesso tempo sia la figlia della signora Frola sia la seconda moglie del signor Ponza: “ Io sono colei che mi si crede”.