E’ impossibile conoscere i dettagli dell’operazione interagenzia che ha portato alla liberazione della nostra connazionale Cecilia Sala, dopo 21 giorni di prigionia in Iran. Ripercorrendo l’intera vicenda e analizzando le varie dichiarazioni ufficiali, abbiamo cercato di riavvolgere il nastro di una vicenda diplomatica complicatissima dove, solo il lavoro di squadra di istituzioni e funzionari italiani ha consentito di liberare in tempi “brevissimi” la giornalista italiana, ingiustamente detenuta nel “durissimo” carcere di Evin, un particolare luogo, opportunamente riservato agli oppositori politici del regime teocratico
di Andrea Pinto
Alle 16:15 dell’8 gennaio, Cecilia Sala è finalmente tornata in Italia, atterrando all’aeroporto di Ciampino a bordo di un Falcon, uno degli aerei di Stato italiani. L’aereo, proveniente da Teheran, è stato parcheggiato probabilmente in una zona riservata vicina alla Sala Vip del 32° Stormo dell’Aeronautica Militare, a sottolineare la volontà del Governo di continuare a mantenere il massimo riserbo sulla vicenda e di evitare inutili clamori mediatici, come avveniva in passato con altri governi.
La gestione dell’intera operazione è stata, di fatto, improntata alla masima discrezione, in una fase delicatissima è stato invocato addiruttura il silenzio stampa. Quindi nessun incontro con la stampa, nessuna dichiarazione pubblica, ma un lavoro silenzioso e mirato per tutelare i diritti della giornalista e gli interessi nazionali.
Fin dalle prime fasi, il caso Sala si è intrecciato con questioni geopolitiche di grande rilievo. L’arresto della giornalista a Teheran è stato, da subito, collegato a quello di Mohammad Abedini Najafabadi, un ingegnere iraniano con passaporto svizzero, arrestato a Milano il 16 dicembre scorso su richiesta degli Stati Uniti. Abedini è accusato dalla corte del Massachussetts di aver fornito supporto tecnologico ai Pasdaran iraniani per lo sviluppo di droni militari. Uno di questi droni avrebbe ucciso tre militari americani in una base in Giordania.
Il legame tra i due casi è stato poi confermato il 29 dicembre, quando l’ambasciatrice italiana a Teheran, Paola Amadei, ha incontrato il vice-ministro degli Esteri iraniano, Vahid Jalalzadeh. Durante l’incontro, Jalalzadeh ha esplicitamente collegato le due vicende, suggerendo che un accordo bilaterale avrebbe potuto portare alla liberazione di entrambi i detenuti. Jalalzadeh ha, inoltre, fatto intendere che l’Italia avrebbe potuto assumere un ruolo di interlocutore privilegiato nei difficili rapporti tra Iran, Stati Uniti e Israele. Questo auspicio rifletterebbe la fiducia riposta da Teheran nella capacità italiana di mediare in contesti complessi, sfruttando la sua forte posizione attuale di indiscusso equilibrio diplomatico.
Per gestire la situazione, il governo italiano, guidato da Giorgia Meloni, ha istituito, fin dalle prime ore dell’arresto, un consiglio ristretto composto da figure chiave come il sottosegretario Alfredo Mantovano, il capo di gabinetto Gaetano Caputi e il direttore dell’Aise Giovanni Caravelli. La strategia è stata calibrata per bilanciare le relazioni con l’Iran e gli Stati Uniti, evitando di compromettere i legami con entrambi i partner in un momento internazionale particolarmente delicato.
Un elemento cruciale è stato il viaggio lampo della presidente Meloni a Mar-a-Lago, dove ha incontrato l’eletto presidente statunitense Donald Trump (assumerà l’incarico il prossimo 20 gennaio). Sebbene i dettagli del colloquio siano rimasti riservati, fonti vicine al dossier suggeriscono che Meloni abbia cercato di ottenere il sostegno di Trump per favorire una soluzione al caso Sala, tenendo conto delle implicazioni legate alla detenzione di Abedini. Si sarebbe anche parlato di un possibile trasferimento alla Cia del materiale sequestrato all’ingegnere iraniano, durante l’arresto operato dalla Digos a Milano Malpensa: due cellulari, un computer, alcune chiavette usb e una quantità imprecisata di dispositivi elettronici custoditi nel bagaglio a mano.
Parallelamente, il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha esplorato, con i tecnici del suo dicastero, la possibilità di concedere ad Abedini gli arresti domiciliari, come gesto per facilitare una soluzione diplomatica. Una possibilità, secondo le norme, non arrogabile al Guardasigilli italiano. Sebbene la decisione finale spetti ai giudici milanesi, il Governo avrebbe dato garanzie agli iraniani che la questione sarebbe stata affrontata nei tempi previsti. In caso di esito negativo all’udienza del 15 gennaio, secono il codice di procedura penale, Nordio potrebbe comunque revocare gli arresti senza fornire alcuna motivazione, come un atto politico, consentendo così ad Abedini di tornare libero. Si chiuderebbe così anche la procedura di estradizione verso gli Stati Uniti (ancora non chiesta ufficialmente), una condizione che verosimilmente verrebbe accetatta anche dagli americani. Non sappiamo però a quale prezzo.
Consolidata la soluzione giudiziaria e il consenso americano sulla strategia italiana, la premier Meloni avrebbe dato il via al generale-prefetto Caravelli di tessere la tela per la liberazione di Cecilia, con i contatti “riservati” dell’Aise, frutto di rispetto reciproco tra le parti, con uno dei capi degli 007 dei Pasdaran. L’Iran avrebbe così acconsentito alla liberazione di Cecilia Sala anche prima del verdetto della sentenza dei giudici italiani, previsto il prossimo 15 gennaio, fidandosi, senza riserva alcuna, delle garanzie del Governo italiano e dell’intelligence del Qatar, che avrebbe giocato un ruolo importante nel supportare la postura del generale Caravelli nell’interlocuzione con gli iraniani.
Questo approccio ha permesso così all’Italia di giocare un ruolo cruciale in una vicenda che ha intrecciato interessi geopolitici, sicurezza e diritti umani. L’auspicio iraniano che l’Italia diventi un interlocutore privilegiato nei rapporti con gli Stati Uniti e Israele sottolinea il riconoscimento internazionale della capacità diplomatica italiana, ma pone anche nuove responsabilità in un contesto regionale già altamente instabile.
Il ritorno di Cecilia Sala rappresenta un successo significativo per il governo italiano, il successo di un icredibile lavoro di squadra, che è riuscito a riportare a casa la giornalista senza cedere alle pressioni o compromettere i rapporti internazionali. Ben fatto!
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