La proteina spike si presenta come piccole puntine infilate nella grande cellula, è lei che dobbiamo fermare per arrestare l’infezione in un organismo.
Presso il laboratorio The Protein Factory 2,0 del Dipartimento di Biotecnologie e Scienze della Vita dell’Università di Varese, la proteina è stata riprodotta e viene messa a disposizione di coloro che la studiano per cercare un vaccino in grado di curare e prevenire il contagio e la malattia da CoVid-19.
“La proteina S è stata prodotta in una linea cellulare di ovario di criceto, in una forma identica a quella naturale. È fondamentale per numerose ricerche ma il suo utilizzo è limitato dall’elevato costo commerciale, pari a milioni di dollari al grammo – precisa il capo del laboratorio Pollegioni – Noi non la mettiamo in vendita, la rendiamo disponibile a chi intende compiere ricerche: siamo una università, favoriamo la scienza”.
Il laboratorio riproduce proteine soprattutto umane collegate a diverse patologie, da quelle dell’Hiv a quelle antitumorali, dall’Alzheimer al Parkinson. Sempre Pollegioni afferma: “Le realizziamo e le snidiamo. L’ateneo cerca di sviluppare sistemi diagnostici per il Covid, La proteina Spike ora può servire per mille cose, non la si utilizza direttamente per un vaccino ma è uno strumento che si usa per sviluppare anticorpi al virus. Si poteva acquistare ma il costo per noi e peri laboratori di ricerca, è insostenibile. Chi crea proteine per venderle non ha l’attenzione del ricercatore. Il rettore ci ha messo a disposizione con meno di duemila euro il gene sintetico, noi con poche risorse abbiamo riprodotto interamente la proteina spie. Ora è a disposizione a livello accademico senza doverla comprare ma soprattutto è controllata. Noi non siamo un’azienda. Studiarla permette di capire le mutazioni e l’azione degli altri recettori”.
A quanto pare il laboratorio del varesotto è l’unico ad averla riprodotta: “Non abbiamo visto comunicazioni in merito a studi simili. Le multinazionali saranno più avanti di noi, ma non l’hanno messa a disposizione della comunità scientifica”.
“Noi lo facciamo senza che si sprechino risorse inutilmente. Si tratta di una proteina difficile da produrre in forma ricombinante – aggiunge Elena Rosini, responsabile del progetto – sia per le grandi dimensioni – comprende oltre 1260 amminoacidi -, sia perché deve mantenere le caratteristiche, la glicosilazione, della proteina naturale prodotta dal virus quando infetta le nostre cellule”.
Oltre alla forma intera della proteina S, è stata prodotta anche la porzione che contiene il solo dominio di legame del recettore (il Receptor Binding Domain).