(John Blackeye) Non sono un matematico e non un sono esperto di statistiche ma se si osservano i dati che ci vengono forniti sulla pagina web della Protezione Civile si capisce che qualcosa – in merito a questa pandemia – non quadra.
Porto due esempi per tutti. In Lombardia, su settantamila tamponi circa che sono stati eseguiti, sono risultati positivi trentamila soggetti. Praticamente la diffusione del contagio è tale che quasi il cinquanta per cento di coloro che sono stati controllati con il tampone, sono risultati positivi al virus.
Nel Lazio, invece, la percentuale si abbassa e a fronte di circa diciottomila tamponi eseguiti, solo un decimo dei controllati è risultato positivo al virus.
Questi dati però ci offrono lo spunto per fare due differenti riflessioni per le quali non è necessario essere medici o esperti nazionali.
La prima riflessione è che nelle diverse Regioni d’Italia vi è una diversa diffusione del contagio. Vi è una popolazione molto più contagiata al Nord che al Centro Sud.
La seconda osservazione, forse più importante, è che i dati riferiti ai contagiati non riguardano l’intera popolazione regionale ma è riferita ai soli soggetti sottoposti a controllo con il tampone. Viene legittimo chiedersi allora: cosa succederebbe se si facessero tamponi a tappeto come auspica il Governatore della Regione Veneto ZAIA?
Se tutta la popolazione nazionale fosse sottoposta a tampone di controllo, potrebbero emergere dati sconcertanti che porterebbero alla luce un aumento del numero dei contagiati sicuramente esponenziale. Se la Lombardia che conta circa dieci milioni di abitanti ha conosciuto un trend di contagi pari quasi al cinquanta per cento circa dei tamponi eseguiti, cosa succederebbe se il tampone lo facessero tutti i dieci milioni di lombardi? Emergerebbero probabilmente che tra i quattro e i cinque milioni di persone in Lombardia sono contagiati? Non è matematicamente scontato ma sicuramente i contagiati non sarebbero quelle decine di migliaia che la Protezione Civile snocciola ogni giorno, come numeri statistici, durante la conferenza stampa per fare il punto della situazione con i mezzi d’informazione.
Quindi, se mettiamo i contagiati di ogni Regione in relazione al numero degli abitanti e non in relazione al numero dei tamponi eseguiti, in Italia, come all’estero, si avrebbe a che fare con una catastrofe pandemica che se oggi ci sembra di dimensioni enormi in tal caso avrebbe dimensioni apocalittiche.
Restare a casa è sicuramente l’arma vincente e forse l’unica arma nelle mani del sistema sanitario nazionale. Infatti, chi resta a casa – e non è infetto – non prende il contagio. Ma è questa l’unica soluzione?
No. La soluzione, come in situazioni complicate come questa, si poggia su più pilastri. Occorre sicuramente rimanere a casa. Ma occorre, altresì, fare i tamponi a tutta la popolazione nazionale.
Solo in questo modo, alla stregua della Sud Corea, si può redigere, anche con mezzi di tracciabilità elettronici e con specifici software, una mappa dei reali contagiati evitando che i sani possano venire a contatto con essi.
Il problema fondamentale, alla base della diffusione della malattia, infatti, sono i portatori asintomatici. È notizia recente che il dott. Bertolaso, impegnato nella realizzazione di un nuovo “polo” di accoglienza degli ammalati di coronavirus di Milano, sia risultato egli stesso “positivo”. E questo è stato possibile perché nel suo entourage o tra le persone che ha incontrato, vi sono portatori sani, quindi malati asintomatici, che senza saperlo, stanno contagiando decine di persone ogni giorno. Come si possono tenere a casa questi malati asintomatici?
Scovandoli con i tamponi a tappeto.
Quindi, la soluzione è sicuramente restare a casa. Ma per tutti deve rendersi obbligatorio il tampone. Una volta individuati i malati con sintomi ed i contagiati senza sintomi, sarà possibile tenere in quarantena tutti i potenziali portatori di virus e chiudere la storia con questa tremenda pandemia.