La protesta in Tunisia è animata dalla crisi economica e dal mancato miglioramento delle condizioni di vita della popolazione tunisina. Negli ultimi tre anni il Pil è leggermente cresciuto, passando dal +0,8% del 2015, al +1% del 2016, al previsto +2% di quest’anno. Tuttavia le ricadute sull’occupazione sono passate inosservate, la disoccupazione resta al 15% e quella giovanile supera il 30%. “Le politiche di investimento – spiega l’economista Med Dhia Hammai – non sfociano in attività che favoriscono la crescita dell’occupazione ma si limitano a favorire i consumi”. “Il grosso degli investimenti esteri si concentra nel settore estrattivo del gas o del petrolio, che crea pochi nuovi addetti, mentre gli investimenti nei servizi turistici creano soltanto occupazione temporanea e stagionale. Continuando così ci ritroveremo come con Ben Ali, con una crescita del 5% e una disoccupazione del 15-18%. La rivoluzione del 2011 si è svolta con il motto di “pane e dignita’” e le recenti manifestazioni riproducono quella situazione. Anche i prezzi hanno ricominciato a salire e l’inflazione nel 2017 è tornata al 6%, sullo sfondo di un deprezzamento dei dinar e dell’aumento delle imposte.