di Giuseppe Paccione
Dal giorno in cui il gruppo di Hamas è entrato nel territorio israeliano compiendo ogni tipo di atto illecito nei riguardi di persone innocenti, la prima cosa che Israele ha esclamato è stata l’espressione “siamo in guerra!”, con l’implicazione che una dichiarazione di guerra comporterebbe per il governo di Tel Aviv il diritto sine die di reagire in qualsiasi maniera ritenga appropriato, a prescindere dalle conseguenze che questo possa cagionare.
Nel momento in cui inizia un conflitto armato o l’occupazione territoriale, in questo determinato caso, s’innesca l’applicazione delle norme del diritto internazionale dei conflitti armati o umanitario, branca del diritto internazionale generale che vincola ogni parte coinvolta, compresi gli attori non statali come Hamas et alias. Il ruolo del diritto internazionale d’umanità consiste nel proteggere individui che non prendono parte direttamente alle ostilità e impone limiti agli strumenti e ai metodi di guerra che sono adoperati dalle parti coinvolte. Le norme del diritto bellico sono comminate da una gamma di strumenti, cioè i trattati internazionali, come le Convenzioni di Ginevra del 1949 e il diritto internazionale cogente.
Giacché ogni attore statale non deve adempiere al rispetto delle Convenzioni citate, purtroppo diviene arduo decifrare le risposte contrastanti che nei giorni scorsi provenivano da alcuni Paesi del Vecchio Continente europeo e dagli Stati Uniti. In primis, il linguaggio diplomatico del governo statunitense che può essere interpretato come se stesse riferendo al governo di Tel Aviv che può fare ciò che ritiene necessario con il supporto delle autorità di Washington D. C., ma che deve attenersi all’applicazione delle disposizioni del diritto bellico; non solo, ma ha ammonito il governo israeliano a delineare i suoi obiettivi politici e a ponderare ciò che potrebbe accadere dopo l’azione militare. Il governo statunitense ha il timore che lo Stato israeliano venga attirato in un pantano a Gaza che sarà lungo e sanguinoso e che causerà un indebolimento dell’influenza degli Stati Uniti nell’area mediorientale.
Gli Stati Uniti considerano l’occupazione di Gaza come un errore, ma ritiene necessario eliminare gli estremisti che operano all’interno di Hamas, organizzazione di matrice terroristica, pur favorendo l’apertura di riconoscere la Palestina quale entità statale.
Il governo tedesco, invece, ha asserito che la sua responsabilità derivante dall’Olocausto vuole ricordare che il suo compito è quello di difendere l’esistenza di Israele, ponendosi accanto al popolo israeliano. Il problema è che la sua posizione potrebbe renderla complice dei crimini ora perpetrati contro la gente palestinese.
Le autorità di Tel Aviv hanno annunciato l’assedio di Gaza, limitando l’accesso alle esigenze di prima necessità come derrate alimentari, acqua ed energia elettrica, bombardando alcuni lembi territoriali dove hanno perso la vita migliaia di palestinesi. La ragione di fondo di Israele è spingere Hamas a rilasciare gli ostaggi.
Il taglio delle necessità primarie per la sopravvivenza dei civili durante un conflitto armato come la fame, il taglio del rifornimento di acqua e di elettricità sino alla distruzione del territorio di Gaza violano le norme e i principi del diritto internazionale dei conflitti armati. Le condotte combinate delle forze di difesa di Israele, in primis l’uccisione dei civili e l’obiettivo delle infrastrutture civili, per non dimenticare anche l’utilizzo di un linguaggio disumanizzante, fanno crescere la prospettiva non solo di crimini di guerra, ma anche contro l’umanità e si presume persino quello di genocidio.
Il governo israeliano considera importante sottolineare che il nord della Striscia di Gaza debba essere del tutto liberato dall’attore non statale Hamas, per poi procedere verso il sud. Altro aspetto concerne lo spostamento dei civili palestinesi sfollati su cui non si hanno delle indicazioni da parte di Israele. Questa espulsione di cittadini palestinesi costituisce una punizione collettiva di massa che è assolutamente inibita dal diritto internazionale dei conflitti armati, che può comportare un concreto rischio di danno irreparabile per la vita e l’integrità personale per la popolazione palestinese.
L’avvertimento delle forze israeliane di evacuare i lembi territoriali di Gaza non esonera il governo di Tel Aviv dai suoi obblighi e responsabilità sanciti dal diritto internazionale umanitario che vieta ogni atto o minaccia di violenza il cui fine è quello di incutere il terrore fra la gente palestinese. Le norme sono alla portata di mano, per cui Israele, volente o nolente, deve adempiere al rispetto di esse, senza “se” e senza “ma”. Ciò vale anche per gli attori non statali come Hamas e altri gruppi. Vi deve essere il rispetto delle leggi di guerra e, in particolare, l’assistenza d’umanità che va fornita ai civili in ogni momento.
Circa le strutture come gli ospedali civili, esse godono di una speciale protezione, cioè a dire che sono considerate oggetto di protezione dagli attacchi, come viene enunciato dal Regolamento dell’Aia del 1899 e del 1907, definendole come beni da risparmiare da assedi e bombardamenti. Non vanno non menzionate persino le IV Convenzioni di Ginevra del 1949, il I Protocollo e il II Protocollo addizionali che contengono un’articolata disciplina di protezione per gli ospedali civili. Gli ospedali perdono il loro status civile qualora tale strutture sanitarie vengano impiegate per fini militari e in questo caso possono essere prese di mira soltanto quando militarmente necessario, tuttavia tale azione deve sempre restare nel quadro del rispetto dei principi di umanità, proporzionalità e distinzione. Il principio di umanità impone l’obbligo di non infliggere sofferenze, lesioni o distruzioni non necessarie per fini di tipo militare leciti.
Credo, per concludere, che sia necessario in questo momento difficile che si dia in maniera imperativa e immediato spazio con la sospensione temporanea dei combattimenti per permettere l’apertura di un corridoio umanitario e l’avvio di un serio tavolo negoziale per il rilascio degli ostaggi.
Se sin dall’inizio le Parti in conflitto avessero seguito alla lettera le norme del diritto internazionale, oggi molte persone dell’una e dell’altra parte sarebbero ancora in vita, ma l’odio e la rabbia hanno oscurato l’unico strumento internazionale di garanzia e sicurezza di entrambi i popoli. Purtroppo, ancora oggi, riecheggiano le parole di San Giovanni Paolo II quando, durante la prima Guerra del Golfo, disse: “la guerra è un’avventura senza ritorno”.
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