di Massimiliano D’Elia
Le immagini e i video dell’intervento della coalizione internazionale in Iraq nel 2003 ed in Libia nel 2011 ci avevano impressionati quando, nelle prime fasi del conflitto, mostravano il cielo notturno nemico illuminato dai traccianti del sistema di difesa contraerea, alle prese con le sortite dei velivoli della coalizione. Operazioni aeree, spesso complesse, necessarie per la conquista della supremazia aerea e del successivo intervento delle truppe via terra.
Lessons learned che hanno poi influenzato le dottrine militari per gli anni a venire fino al conflitto russo-ucraino, dove ogni paradigma assunto e consolidato dal tempo ha iniziato a scricchiolare di fronte ad una realtà operativa diversa, moderna ed imprevedibile che ha coinvolto spesso diversi domini di confronto contemporaneamente ma che ha riesumato anche impieghi tattici del passato risalenti all’ex Unione sovietica.
Putin nella sua “operazione militare speciale” in Ucraina ha deciso di cambiare gli schemi affidandosi alla dottrina del suo capo delle forze armate, generale Valery Gerasimov. Essa prevede di colpire l’avversario non solo fisicamente ma anche psicologicamente nel suo punto più debole, dove non ha una deterrenza credibile, utilizzando sistemi altamente pervasivi da affiancare, di pari passo, all’azione militare. Parliamo della guerra ibrida attuata spesso anche con mezzi e sistemi non statuali con il fine ultimo di generare il caos nel caos nelle società degli avversari.
La dottrina Gerasimov
Nel febbraio 2013 il generale Gerasimov ha pubblicato un trattato dal titolo “The Value of Science Is in the Foresight” dove ha spiegato la guerra ibrida come un confronto, per certi versi invisibile, in cui vengono integrate le tattiche sviluppate nell’era sovietica con il pensiero militare strategico sulla guerra totale. Gerasimov ha presentato una nuova teoria della guerra moderna che si pone come obiettivo quello di hackerare le società del nemico, piuttosto che attaccarle frontalmente. Nel trattato ha così argomentato: “Le ‘regole della guerra’ sono cambiate. Il ruolo dei mezzi non militari per raggiungere obiettivi politici e strategici è cresciuto e, in molti casi, hanno superato il potere della forza delle armi nella loro efficacia. Tutto questo è integrato da mezzi militari di carattere occulto”. Con mezzi militari di carattere occulto si riferisce ai mercenari, come la Brigata paramilitare del Gruppo Wagner, ampiamente utilizzata da Mosca, con alterni successi, in Siria, Africa ed Ucraina.
La deterrenza russa
Tra i super missili russi testati con successo c’è il missile intercontinentale Sarmat capace di raggiungere obiettivi a 16 mila chilometri e il razzo Kinzhal a gittata intermedia (2000 Km) che è stato ampiamente utilizzato da Mosca durante il conflitto in corso in Ucraina.
Tra le armi più innovative per le quali non sono ancora partiti i test spiccano il siluro Poseidon, sempre a propulsione nucleare e quindi in grado di rimanere sotto gli oceani per giorni o addirittura anni, pronto a colpire in qualsiasi punto del globo e l’Avangard, una testata nucleare planante che, una volta lanciata, sarebbe in grado di raggiungere la parte superiore della stratosfera per acquisire una velocità pari a venti volte quella del suono per poi planare su qualsiasi obiettivo. Non è passata inosservata la potentissima arma laser Zadira, utilizzata nel conflitto in Ucraina per accecare i satelliti, mentre una versione più potente, a dire del Cremlino, sarebbe in grado di distruggere i satelliti in orbita.
L’impiego del mezzo aereo nel conflitto russo-ucraino
Di fronte ad una forza aerea ucraina insufficiente (circa 300 vecchi aeromobili), l’Aeronautica militare russa è stata comunque utilizzata al 10% delle sue reali capacità per una serie di motivazioni operative: la forza della risposta ucraina, garantita dai moderni sistemi di difesa aerea forniti dagli occidentali e la considerazione, non secondaria, di evitare di consegnare al nemico importanti informazioni tecnologiche dei velivoli abbattuti.
Per cercare di compiere l’auspicato salto di qualità e smuovere un conflitto ormai divenuto statico gli ucraini hanno chiesto a Stati Uniti, Ue e Uk velivoli caccia di quarta generazione come gli F-16 che, dopo le resistente iniziali e solo dopo il placet americano, saranno forniti alle forze aeree di Kiev nel 2024. La consegna di caccia più moderni ha dato così il via alla delicata fase di addestramento dei piloti ucraini. Nonostante le difficoltà dovute al proprio idioma i piloti ucraini hanno terminato la fase “ground” di addestramento presso i simulatori di volo americani per passare alla fase successiva del training vero e proprio sui velivoli.
Nel frattempo gli ucraini hanno dimostrato di aver imparato ad usare con estrema intelligenza e bravura gli armamenti di difesa aerea occidentali riuscendo a spostarli con celerità dopo ogni attacco in modo da non essere individuati dai ricognitori russi. I russi, impossibilitati a raggiungere una completa supremazia aerea hanno dovuto cambiare la propria strategia implementando l’utilizzo di missili e droni con una costanza ed una persistenza mai vista in nessun altro conflitto moderno.
Il limite di questa scelta operativa sta però nel fatto che essa richiede un continuo rifornimento di munizioni da una parte e dall’altra. Munizioni che iniziano a scarseggiare e che non potranno essere consegnate per un tempo indefinito perché gli arsenali occidentali non sono preparati ad una tale evenienza e non riescono a seguire il passo – “battle rhythm” – del conflitto.
La flotta aerea russa
Secondo i dati del World Air Force 2023, la Russia possiede la seconda flotta aerea militare al mondo con 4.182 velivoli. Dati che andrebbero però confrontati con i caccia distrutti durante i mesi del conflitto contro l’Ucraina, dove sarebbero andati persi un gran numero di aerei russi come gli Su-25 e Su-34 e i Ka-52 nonché gli elicotteri da combattimento Mi-24. A fine del 2022 il ministero della Difesa di Kiev ha dichiarato che le sue forze aeree avevano distrutto ben 278 velivoli ad ala fissa nemici, 261 elicotteri e 1.509 velivoli aerei senza pilota. Sono dati da prendere naturalmente con le pinze in considerazione della propaganda e della comunicazione di guerra che, come noto, è sempre studiata ad arte per confondere l’avversario.
I droni, veri protagonisti della guerra
I veri protagonisti della guerra russo-ucraina sono i droni, utilizzati in tutti gli ambienti: aria, superficie terrestre, marittima e anche sott’acqua.
L’Iran ha consegnato all’esercito russo centinaia di droni classe Shahed, in particolare lo Shared-129, un drone in stile Predator che può volare per più di 1.000 miglia, armabile con missili, e lo Shahed-191, un drone in grado di trasportare missili per circa 300 miglia. Droni che hanno consentito a Mosca di continuare attacchi persistenti e di equilibrare il vantaggio tattico conquistato dagli ucraini, all’inizio della guerra, a seguito dell’utilizzo dei droni turchi Bayraktar.
Il clamore dei successi ucraini, grazie al drone turco, contro i tank russi sono stati celebrati con una canzone popolare. L’azienda turca che produce il Bayraktar, secondo i media nazionali, starebbe costruendo una fabbrica di droni proprio in Ucraina.
Il governo ucraino ha implementato i programmi per la costruzione di droni al fine di diventare in futuro un hub mondiale del settore, grazie all’esperienza tattica maturata direttamente sul campo. Per questo motivo il ministro della Trasformazione Digitale Mykhailo Fedorov, ha fatto inviare al fronte 1.700 nuovi droni, addestrare 10.000 operatori in 26 centri e preparare altri 10.000 per un futuro addestramento.
Alcuni modelli di droni utilizzati nel conflitto
Tra i vari modelli di droni utilizzati è risultato molto efficace anche il drone monomotore a elica UJ-22 Airborne prodotto dall’azienda Ukrjet di Kiev. Pesa 85 kg, con apertura alare di 4,6 m e lunghezza di 3,3 m è alimentato da un motore a benzina. Ha una velocità di crociera di 120 km/h, elevabile a una massima di 160 km/h, e un’autonomia di 800 km. Un simile raggio d’azione potrebbe consentire ad un UJ-22 di arrivare agevolmente alle porte di Mosca.
E’ stato utilizzato, con successo, anche il drone Beaver realizzato dal consorzio di industrie militari ucraine Ukroboronprom. Il Beaver è lungo 2,5 metri e ha un’apertura alare sui 2,5 metri, pesa 150 kg. La velocità massima si aggirerebbe sui 200 km/h, mentre l’autonomia toccherebbe i 1000 chilometri, ben superiore a quella dell’UJ-22. A differenza dell’UJ-22 può essere utilizzato come drone kamikaze perché integra la carica esplosiva nella fusoliera.
Altri modelli di UAV sono stati ampiamente impiegati, come il Leleka 100, piccolo ricognitore da 1,9 m di apertura alare e 70 km/h di velocità massima, e il Furja, di dimensioni simili. Il Valeriy Borovyk ha costruito il drone “stealth” Vidsyichche ha un raggio d’azione di 40 chilometri e può portare una testata fra 2 e 3 chili di esplosivo. Non solo droni fatti in casa, la tedesca Rheinmetall ha consegnato alle forze ucraine il drone da ricognizione Luna NGcon un raggio d’azione superiore ai 100 km e la capacità di sorvegliare con sensori un’area di 30.000 km quadrati.
Non solo velivoli senza pilota ma anche piccoli droni navali hanno segnato una svolta tattica inaspettata. Dopo l’attacco del 17 luglio 2023 che ha danneggiato il ponte di Kerch, fra la Crimea e la penisola russa di Taman, gli USV, Unmanned Surface Vehicle, della Marina di Kiev hanno colpito navi sulla rada di Novorossijsk. Il successo è stato certificato dall’USV Magura – Maritime Autonomous Guard Unmanned Robotic Apparatus – fabbricato dall’azienda statale SpetsTechnoExport di Kiev. Il MAGURA è lungo 5,5 metri, naviga sulla superficie dell’acqua emergendo di soli 50 cm con una velocità massima è di 80 km/h per un’autonomia di 830 km.
I russi oltre ai droni di fabbricazione iraniana hanno utilizzato un drone kamikaze, il Lancet, prodotto dalla ZALA di Izhevsk. Il Lancet, testato con successo nel 2021 in Siria, ha una munizione circuitante dotata di due ordini di ali cruciformi a X, con un’elica spingente, azionata da un motore elettrico che lo rende silenziosissimo. Altri droni utilizzati dai russi sono gli Orlan con apertura alare di 3,1 metri ha una velocità massima di 150 km/h e un raggio d’azione di 110 chilometri.
Simili ai possenti MQ-9 americani, gli Kronstadt Orionhanno 16 metri di apertura alare e 8 metri di lunghezza, volano a 200 km/h per un raggio massimo di ben 1400 km.
Dall’Iran i russi hanno importato anche il ricognitore Mohajer 6.
La Russia ha iniziato a produrre e utilizzare la propria versione degli Shahed iraniani con 100 componenti in più, sono prodotti da 22 aziende di 7 Paesi diversi, tra i quali non solo la Russia, ma anche aziende con sede in Cina, Svizzera e Stati Uniti. Il Washington Post ha rivelato di recente che il Cremlino ha intenzione di costruire entro il 2025 circa 6000 droni.
Novità assoluta: I droni di cartone
Droni di cartone, un’arma difficile da intercettare e a bassissimo costo. I droni in questione sono i Corvo Precision Payload Delivery System, sono prodotti da una azienda australiana, la Sypaq che ha vinto una commessa con l’esercito australiano da oltre un milione di euro.
Secondo il produttore questi “aerei di cartone” sono facili da montare – il drone arriva in un pacco lungo circa mezzo metro e non è molto più complicato di un prodotto IKEA – e ancora più facile da lanciare grazie a dei semplici elastici. I droni possono volare fino a 120 chilometri per consegnare rifornimenti e attrezzature in aree che le capacità logistiche tradizionali non possono raggiungere. Ma l’esercito ucraino ha adattato la tecnologia adattando i droni per missioni di intelligence, sorveglianza e ricognizione semplicemente installando una telecamera in un buco nel telaio di cartone cerato. Con un costo dichiarato di circa 3.500 dollari ciascuno, sono economici per gli standard militari e possono volare a 60 chilometri orari in modo completamente invisibile ai radar.
I programmi americani
Il Pentagono ha deciso di investire ingenti risorse nei programmi che prevedono, nel giro di due anni, la costruzione di migliaia di droni di piccole e grandi dimensioni. Droni in volo, a terra, in mare e sott’acqua e potenzialmente anche in orbita, in grado di muoversi in sciami o di operare completamente da soli.
Non solo il noto Valkyriema ma anche il Venom: un programma americano che prevede piloti all’interno di velivoli F-16, dotati di un sistema di Intelligenza Artificiale in grado di gestire le decisioni più importanti della missione. Altro programma avveneristico è il Replicator, promosso dal vice segretario alla Difesa Kathleen Hicks: sarà in grado di produrre un’enorme flotta di droni aerei, terrestri e marini che potranno essere impiegati a migliaia in formazione come un micidiale sciame. Gli sciami di droni possono garantire l’elusione e la saturazione delle difese aeree nemiche, raggiungendo così l’obiettivo (un esempio della saturazione dello spazio aereo è stato l’attacco simultaneo del 7 ottobre scorso da parte di Hamas). La loro economicità consente loro di essere utilizzati una sola volta per svolgere missioni ad alto impatto tattico come quelle suicida viste in Ucraina o in Russia.
Il programma “Colaborative Combat Aircraft” dell’Air Force consente, invece, a droni autonomi di volare accanto al nuovo bombardiere B-21 o al caccia avanzato F-35, lavorando come gregari e aggiungendo così ulteriori punti sullo schermo radar del nemico per confonderlo. Tra i vantaggi dei programmi dei droni è incontrovertibile la loro economicità rispetto ai costosissimi programmi dei caccia moderni.
La Nato si esercita con i droni marittimi
In Portogallo presso l’Isola di Troia sono state effettuate due esercitazioni della Nato incentrate sull’integrazione delle nuove tecnologie marittime nelle operazioni e sulla capacità dei veicoli subacquei autonomi di operare insieme. La prima esercitazione è la DYNAMIC MESSENGER 23 (18-29 settembre) che si è focalizzata sull’integrazione dei sistemi marittimi senza equipaggio nelle operazioni navali.
La seconda esercitazione è stata la REPMUS 23– Robotic Experimentation and Prototyping with Maritime Unmanned Systems – che si è svolta nella stessa regione dall’11 al 22 settembre e si è concentra sullo sviluppo delle capacità e sull’interoperabilità. Sia REPMUS 23 che DYNAMIC MESSENGER 23 hanno sviluppato partnership significative tra il settore privato e il mondo accademico e forniscono indicazioni per i progressi tecnologici, i concetti operativi, la dottrina e i programmi di lavoro futuri.
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