Secondo quanto riportato da Nova il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan incontrerà Donald Trump, in un momento in cui le relazioni tra i due paesi sono al minimo storico. Le tensioni, già forti negli ultimi anni, sono cresciute in particolare dopo che lo scorso 9 ottobre Ankara ha lanciato l’operazione militare “Fonte di pace” nel nord-est della Siria. Dopo aver inizialmente concesso il via libera all’offensiva ritirando le forze statunitensi dall’area delle operazioni, Trump ha criticato l’iniziativa turca, ha imposto sanzioni nei confronti del governo di Ankara e il 17 ottobre ha inviato il suo vice Mike Pence ad Ankara per negoziare un cessate il fuoco puntellato cinque giorni dopo da una parallela intesa stretta da Erdogan con la Russia. La tregua appare tuttavia fragile, la Turchia minaccia di riprendere l’offensiva e critica aspramente il sostegno degli Stati Uniti ai combattenti curdo-siriani delle Unità di protezione popolari (Ypg), che considera un’organizzazione terroristica affiliata al Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk). Per Washington, le Ypg sono tuttora un alleato chiave contro lo Stato islamico, come dimostra il ruolo avuto dai curdi nelle ultime operazioni contro la leadership del gruppo jihadista: è stato proprio il comandante Ypg Mazlum Abdi (detto anche Mazlum Kobane) ad annunciare per primo il 28 ottobre l’uccisione del portavoce del “califfato”, Abul Hassan al Muhajir.
Sebbene in passato Stati Uniti e Turchia abbiano avuto una posizione comune in Siria ostile al presidente Bashar al Assad, Erdogan sembra oggi preferire come interlocutore il presidente russo Vladimir Putin. Non si tratta, tuttavia, di una “questione personale”. Il rapporto tra Trump ed Erdogan resta infatti vivace e aperto. In passato il capo della Casa Bianca ha definito l’omologo turco “un amico”, “un diavolo di leader”, “un duro che merita rispetto”. Erdogan, da parte sua, ha più volte sottolineato di essere in sintonia con Trump ma non con il cosiddetto “Stato profondo” di Washington, ovvero con quell’apparato politico, diplomatico e militare che in più occasioni avrebbe “ostacolato” il dialogo tra le due parti, in particolare rispetto al dossier siriano. Anche la visita odierna ha visto importanti resistenze negli Stati Uniti, con un gruppo bipartisan di membri del Congresso (capitanati dal democratico Chris Van Hollen e dal repubblicano Lindsey Graham) che ha chiesto a Trump di annullare l’invito a Erdogan e d’imporre nuove sanzioni nei confronti della Turchia.
“È una vergogna che il presidente Trump abbia invitato Erdogan alla Casa Bianca dopo che quest’ultimo ha attaccato i nostri alleati curdo-siriani” e dopo che le forze sotto il comando turco “hanno commesso quelli che la stessa amministrazione ha definito crimini di guerra”, ha affermato Van Hollen. Secondo il “Washington Post”, il presidente statunitense ha preceduto l’arrivo di Erdogan inviandogli la scorsa settimana una lettera nella quale affermava che è ancora possibile raggiungere il comune obiettivo di portare l’interscambio bilaterale a quota 100 miliardi di dollari. La questione è tuttavia delicata perché la Siria non è l’unico dossier sul tavolo. Il miglioramento delle relazioni tra Turchia e Stati Uniti passa anche per una serie di questioni che saranno certamente toccate nell’incontro odierno alla Casa Bianca.
A partire da quella relativa alla decisione turca di acquistare il sistema di difesa missilistico russo S-400, cosa che ha indotto Washington a “congelare” la partecipazione di Ankara al programma di sviluppo dei caccia multiruolo F-35. Secondo il Pentagono, infatti, la presenza degli S-400 sul territorio turco costituisce un pericolo alla sicurezza nazionale Usa, poiché potrebbe permettere alla Russia di ottenere informazioni cruciali sulle caratteristiche stealth degli F-35. L’amministrazione Trump sarà chiamata a prendere una posizione definitiva sulla questione nel marzo del 2020, quando la partecipazione industriale della Turchia al programma (si tratta della realizzazione di circa 900 componenti dei caccia) dovrebbe terminare facendo bruciare ad Ankara, secondo gli esperti di “Defense News”, una cifra pari a 9 miliardi di dollari complessivi. Erdogan, tuttavia, non ha mai ceduto: ha confermato l’acquisto degli S-400 (due batterie sono già state installate) e ha anzi rilanciato con nuovi affari di difesa con Mosca.
Finora, nonostante l’insistenza di alti funzionari della sua amministrazione, Trump ha evitato d’imporre sanzioni nei confronti della Turchia. Tuttavia è stata fissata una nuova “linea rossa”: che gli S-400 non diventino “operativi” in un modo tale da consentire al sistema di “accedere alle comunicazioni degli F-35”, come indicato al “Washington Post” da fonti governative Usa. La soluzione possibile è che la Turchia accetti un monitoraggio costante degli Stato Uniti o della Nato sull’utilizzo degli S-400: se venisse raggiunto un accordo su questo punto, la partecipazione di Ankara al programma F-35 potrebbe essere sbloccata. Altra questione sul tavolo è quella legata all’estradizione di Fethullah Gulen, il leader religioso turco che Ankara considera la mente dietro il fallito colpo di Stato del 2016. Gulen vive in autoesilio in Pennsylvania dal 1999 e finora, nonostante una lunga serie di richieste, la Turchia non è mai riuscita ad assicurarne l’arresto e l’estradizione. Dall’altra parte, gli Stati Uniti chiedono ad Ankara di lasciar cadere le accuse nei confronti di funzionari consolari Usa che avrebbero avuto legami con lo stesso Gulen.
Un altro motivo di frizione tra Turchia e Stati Uniti è costituito dal dossier che riguarda Halkbank, uno dei maggiori istituti bancari pubblici di Ankara, che lo scorso mese è stata incriminata dagli Stati Uniti per aver violato le sanzioni nei confronti dell’Iran. L’accusa riguarda il trasferimento di circa 20 miliardi di dollari in oro e liquidità attraverso una complessa rete di società fantasma e di transazioni false che coinvolgerebbe anche alti funzionari turchi. Lo scandalo è venuto alla luce nel 2013. L’incriminazione ha provocato forti proteste in Turchia ed è stata definita da Erdogan “un passo brutto e illegale” volto a punire la recente operazione militare in Siria.
Infine, vi è la questione legata a un cittadino statunitense arrestato dalla Turchia come combattente dello Stato islamico ed espulso lunedì scorso. L’uomo, identificato dall’agenzia di stampa turca “Demiroren” come Muhammed Darwis B, è al momento intrappolato al confine tra Turchia e Grecia nei pressi della città di Kastanies. La polizia di Atene gli ha infatti negato l’ingresso nel paese e l’uomo non avrebbe intenzione di essere estradato negli Stati Uniti. La linea di Erdogan resta rigida. “Abbiamo iniziato a rimpatriare i combattenti dello Stato islamico nei loro paesi di origine. Se qualcuno resta intrappolato al confine non ci riguarda. Continueremo ad espellerli, dove vadano è una questione che non ci interessa”, ha detto il presidente turco ai giornalisti prima di partire per Washington.