In un mondo che vede, con le elezioni di Trump, l’aprirsi di nuovi scenari a seguito del probabile disimpegno americano da diverse aree del pianeta, i paesi dell’Unione Europea cercano “timidamente” di cambiare la rotta comunitaria, ancora troppo legata a inopportuni nazionalismi. Il percorso è lungo e tortuoso mentre la morsa economica di Usa e Cina potrebbe inesorabilmente spazzare via quel poco che rimane della rilevanza del Vecchio Continente. Si rimane ancora troppo legati a questioni di politica interna e consenso elettorale nazionale.
di Emanuela Ricci
A Budapest i leader dell’Unione Europea si sono riuniti per un summit informale volto a definire il ruolo dell’Europa in un mondo sempre più instabile. La sala conferenze della nuovissima Budapest Arena ha fatto da cornice a dibattiti accesi e appassionati, con Mario Draghi e Giorgia Meloni protagonisti di visioni contrastanti sul futuro del Continente. Mario Draghi ha preso la parola con un discorso lucido e strutturato, applaudito a lungo dai presenti. Ha presentato un piano dettagliato, definito dai media come un “New Deal Europeo”, che prevede investimenti in tecnologie verdi, digitalizzazione e infrastrutture critiche.
“L’Europa non può più permettersi di restare spettatrice mentre gli Stati Uniti e la Cina ridefiniscono le regole del gioco,” ha dichiarato Draghi. Tra le sue proposte: Un Fondo Europeo per la Sovranità Industriale, con un budget iniziale di 300 miliardi di euro, volto a sostenere la produzione locale di semiconduttori, batterie e intelligenza artificiale. Un Green Tech Investment Plan, per raggiungere la neutralità climatica entro il 2040, con incentivi fiscali per le aziende che investono in energie rinnovabili e un’espansione dei “green bonds”. Un Digital Sovereignty Act, per proteggere i dati europei da interferenze straniere, in linea con la recente approvazione del Regolamento sulla Cybersecurity dell’UE.
Draghi ha, infine, concluso con un appello accorato: “Il ritorno di Trump e l’aggressività economica della Cina devono spingerci a unire le forze. Non possiamo restare indietro.”
L’ex governatore della Bce ha detto anche che “è possibile spendere il 2% del Pil per la Difesa rispettando il patto di stabilità, ma sarà necessario prendere una serie di decisioni. È inutile discutere se sia possibile o meno, la vera questione è decidere cosa fare, e poi si tratterà di affrontare la questione dei soldi”.
Meloni: “L’Italia non si farà dettare l’agenda dalla tecnocrazia di Bruxelles”
Il presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni ha adottato un approccio più prudente, sottolineando l’importanza della sovranità nazionale. “Non possiamo costruire l’Europa dei popoli se dimentichiamo i bisogni dei cittadini,” ha esordito, ricevendo applausi dai leader dei Paesi del Gruppo di Visegrad, tra cui il premier polacco Mateusz Morawiecki e l’ungherese Viktor Orban.
Tra le proposte di Meloni: Riforma del Patto di Stabilità e Crescita, per escludere dal calcolo del deficit gli investimenti strategici in difesa e sicurezza. Ha citato l’esempio dell’Italia che ha aumentato il budget per la sicurezza energetica e militare senza compromettere il welfare. Controllo dei Confini e Migrazione, con un piano di “Partnership Migrazione Sicura” che prevede accordi con Paesi nordafricani per bloccare i flussi migratori irregolari, replicando il modello Albania. Ha poi anche criticato l’ipocrisia dell’UE nel non riconoscere gli Stati sicuri. Un’Iniziativa Mediterranea di Sviluppo, per rilanciare la cooperazione con i Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, in risposta alla crescente influenza cinese e russa nella regione.
Riferendosi alla proposta di Draghi sul debito comune, Meloni ha dichiarato: “Non possiamo chiedere agli italiani ulteriori sacrifici. L’Europa deve rispettare le specificità dei suoi Stati membri.”
Un vertice tra differenze Geopolitiche e divergenze economiche
Il vertice di Budapest ha mostrato una crescente frattura tra gli Stati membri sull’approccio da adottare in un contesto globale sempre più polarizzato. Emmanuel Macron, presidente francese, ha sostenuto la visione di Draghi, spingendo per una “sovranità strategica europea” che includa anche un esercito europeo permanente.
D’altro canto, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha espresso riserve su un’espansione massiccia della spesa pubblica senza un piano di sostenibilità fiscale a lungo termine. “L’Europa deve essere competitiva, ma anche responsabile,” ha detto, suggerendo un approccio graduale agli investimenti proposti.
Anche la Spagna di Pedro Sánchez si è mostrata cauta, temendo che un aumento della spesa militare possa minare le politiche sociali già sotto pressione a causa dell’inflazione.
Il nodo della Difesa europea
Uno dei punti cruciali di disaccordo è stato il progetto di una Difesa Comune Europea. Draghi ha proposto la creazione di un Fondo di Difesa Europeo da 500 miliardi di euro, finanziato con eurobond, per raggiungere l’obiettivo del 2% del PIL in spese militari, in linea con gli impegni assunti con la NATO nel 2014.
Tuttavia, Meloni ha insistito che qualsiasi iniziativa di difesa debba rispettare il principio della “flessibilità nazionale”. “Non possiamo avere un’Europa forte se non rispettiamo le peculiarità di ciascun Paese,” ha affermato, facendo eco alle preoccupazioni dei Paesi più piccoli come la Grecia e il Portogallo.
Una politica estera divisa
Sul fronte delle relazioni internazionali, il dibattito si è concentrato su come rispondere alla rinnovata assertività della Russia e alla politica estera di Trump, che ha già annunciato un ritiro delle truppe americane da alcune basi europee.
Draghi ha esortato a mantenere la linea dura contro Mosca, rafforzando le sanzioni e aumentando il sostegno all’Ucraina. “Non possiamo scendere a compromessi con chi minaccia i valori su cui si fonda l’Europa,” ha affermato.
Meloni, tuttavia, ha chiesto una revisione delle sanzioni per evitare danni collaterali alle economie europee, in particolare nel settore energetico. Ha proposto un piano di “dialogo pragmatico” con la Russia, sostenuto anche da Orban.
Il summit si è concluso con un comunicato congiunto piuttosto vago, che accoglie le proposte di Draghi e promette una strategia di competitività entro giugno 2025, ma senza impegni vincolanti. La presidente von der Leyen ha promesso un nuovo “Pacchetto Orizzontale” per rafforzare il mercato unico, ma restano dubbi su come verrà finanziato.
Analisti politici vedono in questo summit l’anticipazione di un’Europa che, sebbene unita nelle intenzioni, rischia di restare paralizzata dalle divergenze interne. Con le elezioni europee del 2025 all’orizzonte, le tensioni tra la visione federalista di Draghi e quella sovranista di Meloni potrebbero diventare il terreno di scontro decisivo per il futuro dell’Unione. La strada verso un’Europa più unita e resiliente appare ancora lunga e tortuosa, con un equilibrio tra ambizioni collettive e interessi nazionali che sembra più difficile da raggiungere che mai.
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