Ma dove sono finiti “i capaci e i meritevoli”? Di loro c’era traccia perfino nella Costituzione, ma non li vedo più, da nessuna parte. Nelle nomine, nelle assunzioni, nella vita pubblica, nella manovra economica, nei programmi di governo e di opposizione, perfino nei premi e nei criteri di giudizio.
Leggo i beneficiari della Manovra del Popolo, vedo l’esultanza e sento le motivazioni: ci sono i bisognosi e gli inguaiati, come è giusto, ci sono perfino i vituperati immigrati, ma non c’è traccia di sostegno e riconoscimento a chi merita, a chi è capace. Vedo poi a ogni livello i curriculum, i linguaggi e i comportamenti dei nominati – ministri, presidenti, magistrati, direttori – e non trovo nessuna relazione tra il merito, la capacità, la competenza e il ruolo che coprono. Vedo i giovani da sostenere, col reddito di cittadinanza, e trovo ancora conferma: chi si è sacrificato per conseguire meritoriamente titoli di studi, per acquisire saperi ed esperienze, chi è bravo, chi ha cultura, chi è intelligente non è previsto, da nessuna parte. Se sei indietro, se non ce l’hai fatta, se non hai meriti o titoli, allora sei previsto nei piani. Se sei bravo no, pussa via. Poi chiediamo dove se ne vanno i migliori: vanno all’estero o vanno in paranoia, si scoraggiano, si devono perfino mascherare per sopravvivere, come i ricercatori di quel film carino, “Smetto quando voglio”. Devono fuggire o arrangiarsi perché qui non c’è posto, non c’è spazio per loro, nessuno li considera.
Credetemi, non è un discorso rivolto solo ai grillini, che al momento sono i principali impresari di questa ondata e sono i testimonial viventi del non lavoro e dell’antimeritocrazia. Ma è un discorso che viene da lontano, viene dal ’68, dai lasciti del comunismo, del cattocomunismo e del sindacalismo, viene dalla sinistra radical e politically correct, investì pure l’Italia lottizzata e democristiana. E tocca ormai l’intero Paese, scassato e profondamente ingiusto, che a ogni livello scoraggia chi merita, ignora chi è bravo, dà torto a chi ha ragione, e si limita a predicare in favore di chi è considerato a vario titolo bisognoso. Anzi, i grillini, nella loro puerile irresponsabilità, almeno ci stanno provando sul serio, sono stati di parola.
Si disegna una società in cui i meriti devono restare privati perché in pubblico non contano niente, anzi spesso contano contro. E il criterio vale ovunque. Qui, nel nome delle quote rosa e della parità, si deve assumere una donna, indipendentemente se sia poi più capace e meritevole del competitore. Là si affida l’incarico a chi è dalla nostra parte e non chi è bravo e lo merita. C’è poi la quota sacrosanta per i disabili e in generale per gli svantaggiati, c’è l’aiuto umanitario agli immigrati, ci sono i sostegni a chi ha sbagliato e deve rimettersi in carreggiata, ci sono i finanziamenti alle associazioni che tutelano le diversità, per esempio omosessuali. E la regola non vale solo in basso, si applica anche in alto: le candidature in parlamento, ma anche i riconoscimenti e i finanziamenti pubblici a livello artistico e letterario, cinema e teatro, sono riservati non ai migliori ma a chi racconta le cose ideologicamente corrette e trasmette messaggi ideologici conformi: razzismo e migranti, nazismo e antifascismo, omosessualità e femminismo. Perfino i premi letterari si adeguano a quel pre-requisito…
Ma tra tante categorie protette, tanti temi privilegiati, tanti nominati, premiati per pura appartenenza politica (l’ultimo è il renziano al Csm) ci sarà per caso o per errore uno bravo, qualcuno capace e meritevole? Il metodo è diventato così generale che alla fine ha disegnato una classe dirigente scadente e abusiva, all’università, a scuola, negli ospedali, nei giornali, nei luoghi del potere e del sottopotere; una società guidata da palloni gonfiati o da droni asserviti. Una classe dirigente così poi merita di avere dipendenti parassiti, infedeli, assenteisti, fannulloni. Gli uni diventano alibi degli altri. Così la società precipita, decade, s’imbarbarisce. Mai che si dicesse di qualcuno; però è bravo, però è intelligente, però è capace, però merita. No, al più si fa il discorso inverso, si, sarà bravo però (come dire, non interessa saperlo) non è conforme, non rientra nelle quote, o semplicemente la sua capacità è un requisito che non vale, anzi non serve. In ogni senso.
Con uno sforzo immane arrivo a capire il lato buono dell’ondata pauperista: è una distorsione dell’evangelico gli ultimi saranno i primi, e di altri precetti affini, come occuparsi della pecorella smarrita o clandestina, trascurando le altre. Capisco il soccorso, ma in una società giusta e ben fatta, dovrebbe essere il correttivo, il paracadute per chi non ce la fa; invece qui è diventato la norma, il canone, la legge, il criterio universale di selezione perfino della classe dirigente. Chi merita e chi è capace non è nemmeno contemplato.
Capirei che s’invocassero come un tempo le pari opportunità delle condizioni di partenza. Ma qui siamo oltre l’equità, all’egualitarismo becero.
Allora torno alla manovra del popolo e alle manovre delle oligarchie, che convergono proprio in quel punto: non premiare mai i migliori, i capaci, i meritevoli. Non so che effetti darà allargare il buco del deficit, che ritorsioni subiremo dall’Unione europea, dai mercati, dai potentati, oltre il boicottaggio interno. Ma arrivo a dire che il danno peggiore, perfino più grave del debito, è questo: una società che calpesta quel primario criterio di giustizia, che scoraggia i capaci e meritevoli, finisce male. Dico ai migliori: fate bene ad andarvene, fate bene a nascondervi, fate bene a nutrire sfiducia. Qui non c’è posto per voi, coi grillini o con la sinistra. Siete voi i nuovi clandestini senza diritto di soggiorno.
MV, Il Tempo 29 settembre 2018