F35, Sottosegretario Difesa Volpi preoccupato per incertezze trattazione dossier

(di Andrea Pinto) L’on. Raffaele Volpi (Lega), sottosegretario di Stato alla Difesa è sempre più un convinto sostenitore del programma F-35 tant’è che ripete quasi come un mantra a tutti i livelli una frase: “è sviluppo tecnologico-militare e rafforzamento del legame euro-atlantico. Ritengo, precisa Volpi,  che gli F35 non siano solo uno strumento militare ma anche una forma di ancoraggio, anche di prospettiva, ad un’alleanza storica con gli Stati Uniti. Da un punto di vista industriale scelte positive verso la nuova piattaforma omnifunzionale consentirebbero di rafforzare ed aumentare le opportunità produttive di Cameri e individuare ulteriori sviluppi industriali e tecnologici da portare in Italia. La vicenda F35 non deve essere vissuta come un problema ma come una grande opportunità politica e di sviluppo“.

Il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, sempre più legata alle briglia del suo leader politico Luigi Di Maio, da sempre  ha sostenuto, invece,  che il programma F35 “sarà rivisto, ma le modalità per la revisione e le condizioni saranno trattate (aprile scorso anno)  direttamente da Conte insieme a Trump. Ridimensionato? Può significare cambiare ritmo, acquisizione, o acquistarne di meno“.

Continua, quindi, da parte del Movimento la campagna mediatica contro un sistema d’arma diventato simbolo della bieca demagogia. L’F-35 viene identificato come il male dei mali, senza valutare gli aspetti tecnici e le specificità del velivolo che, alla fine, costa tanto quanto altri sistemi d’arma in acquisizione da parte della Difesa (Legge Navale, Forza Nec, etc.). Al riguardo si consiglia una lettura attenta del Documento Programmatico Pluriennale della Difesa 2019-2021, facilmente reperibile sul web.

Attaccare una soluzione strategica ritenuta già  “idonea” da una Forza Armata, l’Aeronautica Militare, dimostra superficialità istituzionale senza pari nella storia repubblicana. Si rammenta che il programma F-35 ha già subito stringenti valutazioni da parte delle Commissioni Difesa, è stato approvato dal Parlamento e si è espressa anche la Corte dei Conti.

Nell’agosto 2017 una relazione della Corte dei Conti diceva che “l’opzione di ridimensionare la partecipazione nazionale al programma, pur non soggetta di per sé a penali contrattuali, determina una serie di effetti negativi, la perdita degli investimenti fatti fino ad oggi (diversi miliardi di euro) e la evidente perdita di posti di lavoro”.

Ritornare a giorni alterni sul programma F-35 per potersi accreditare politicamente è un percorso che potrebbe rivelarsi un boomerang, perchè gli italiani non sono stupidi e si fidano di quello che l’Aeronautica e la Marina comunicano da sempre. Novanta  F-35 dovrebbero sostituire, nel breve-medio periodo, circa 240 velivoli tra Tornado, AMX e AV8 – oramai giunti al termine della vita operativa. L’F-35 è un velivolo di quinta generazione necessario sia per le indubbie capacità operative sia per poter dialogare con gli altri partner alleati con una piattaforma comune e netcentrica.

Il 12 marzo scorso così il capo di stato maggiore dell’Aeronautica, generale Alberto Rosso, in merito all’F-35: <<a livello politico il numero di velivoli autorizzati in questa prima fase è  di 28, noi ne abbiamo 11 e mezzo, ora siamo in attesa”. “Questo aereo e’ il futuro, qualsiasi rallentamento o calo nel numero sarebbe preoccupante non solo per noi ma anche per l’industria nazionale visto l’indotto economico che il programma porta”>>.

Il caccia è stato prodotto in 382 esemplari  in tutto il mondo. Sono stati qualificati meno di 800 piloti e volate 180 mila ore. Numeri, ha sottolineato Rosso, «che indicano come l’F35 non sia più un prototipo. In Italia ne abbiamo 11 e mezzo, il dodicesimo è prossimo alla consegna. Abbiamo qualificato 25 piloti e poco meno di 250 specialisti per la manutenzione. È inserito nel dispositivo di difesa aerea, i piloti ne sono entusiasti, ha capacità che sfiorano la fantascienza, superano la nostra immaginazione, è un mezzo che fa crescere tutta l’Aeronautica». Rosso ha poi aggiunto, «il velivolo è perfettamente integrato con i sistemi dei Paesi Nato. Se prendessimo invece, ad esempio, un aereo russo, sarebbe completamente fuori dal sistema».

La questione degli F-35 è stata discussa anche nel corso di un  Consiglio Supremo di Difesa. Il consesso militare più alto della Repubblica ha approfondito lo stato del processo di riforma e modernizzazione dello Strumento Militare nazionale ed ha sottolineato il carattere di continuità, anche finanziaria, che deve necessariamente caratterizzare i programmi di ammodernamento che si sviluppano su orizzonti temporali particolarmente lunghi. Così poi chiosava il comunicato diffuso dal Quirinale si legge: “Le limitate disponibilità finanziarie impongono di procedere, con celerità e determinazione, nel processo di razionalizzazione delle Forze Armate, concentrando le risorse sulle capacità realmente necessarie per l’assolvimento dei compiti primari per garantire la sicurezza del Paese”. Dunque anche il Capo dello Stato starebbe pressando il governo a procedere con i pagamenti degli accordi già conclusi. Il riferimento era al ritardo dei pagamenti della Difesa di 389 milioni di euro proprio per il programma F-35.

L’Italia perderebbe più di quanto risparmierebbe, perché circa 80 aziende del nostro paese sono coinvolte nel progetto, lo stabilimento di Cameri è stato scelto come hub logistico e della manutenzione e l’intera operazione dovrebbe generale posti di lavoro stimati inizialmente fra 3.586 e 6.395 unità. Il ritorno economico, alla fine dei giochi, annullerà, nel tempo, la spesa sostenuta per l’acquisizione di tutti i 90 F-35.

In Italia si discute di F-35, quando già si dovrebbero posare le basi per aderire a programmi di  velivoli di sesta generazione, operativi fra venti anni. Un programma aereo per lo studio, progettazione, sviluppo e produzione richiede almeno venti anni. Germania, Francia e Spagna hanno di recente costituito un consorzio per il velivolo di sesta generazione FACS. La Gran Bretagna sta lavorando già sul velivolo Tempest. Un programma, quello inglese, a cui l’Italia dovrebbe guardare  con maggiore interesse, considerata l’importante presenza di Leonardo con propri stabilimenti proprio sul territorio anglosassone.

 

 

 

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