(di John Blackeye) Questa mattina Roma si è presentata sotto il suo aspetto di normalità con un Grande Raccordo Anulare non ancora intasato ma percorso a grande velocità da molte più automobili di quelle che si vedevano la scorsa settimana.
Pare che ci siano le premesse per dare la svolta al Paese e cominciare con la fase 2 che porterà alla riapertura di tutte le attività commerciali.
Quello che deve essere sfuggito a chi ha fatto previsioni ottimistiche e a chi ha pensato che sarebbe bastato dare il semaforo verde ai commercianti per rivedere tutte le vetrine illuminate e tirate a lustro, è che senza il sostegno dello Stato tante attività non hanno trovato le condizioni e la forza per riaprire.
Emblematica è stata l’intervista rilasciata in TV da Gianfranco Vissani il quale faceva notare che nemmeno dal 18 maggio potrà riaprire il suo ristorante perché i suoi diciotto cuochi in cucina da un lato non possono rispettare la distanza di sicurezza ma ancor più lui non può permettersi di pagare loro lo stipendio senza incassare nulla.
Lo Stato, pare non gli sia stato vicino come è sembrato invece che fosse, ascoltando le numerose conferenze stampa rilasciate dal Presidente del Consiglio dei Ministri, proprio perché a fronte di una attività commerciale chiusa da quasi tre mesi, Vissani si è visto recapitare a casa, con estrema puntualità, tutte le tasse da pagare anche con il ristorante chiuso.
Tutta o tanta solidarietà sbandierata dal Governo sembra non essersi tradotta, in sostanza, in qualcosa di concreto.
Così capita che questa mattina a Roma, una volta lasciato il Grande Raccordo Anulare alle spalle e trovato un parcheggio a pagamento che servirà a rimpinguare le casse di un Comune che piange sempre miseria, avendo fatto quasi un chilometro per le vie del centro, ho potuto notare che molti di quei Bar che mi sarei aspettato aperti e con la gente in fila per consumare una ricca colazione all’italiana, in realtà erano chiusi.
Qualcosa deve essere andato storto. Evidentemente qualcuno deve avere sbagliato i conti o deve avere calcolato male i criteri per il rilancio del Paese. Ancora una volta la realtà politica si è manifestata quale è, cioè molto distante dalla realtà vissuta dai cittadini. Trattare commercianti e artigiani come numeri statistici da incastrare bene nei fattori di ripresa di uno Stato che è troppo lontano dalla gente, deve aver portato a risultati sbagliati.
Molti Bar sono rimasti chiusi e a nulla valgono le informazioni sparate a bruciapelo dai TG nazionali che mostrano una società a pieno ritmo con gente che consuma l’aperitivo in città affollate.
La realtà è un’altra. La pandemia ha davvero messo in ginocchio il commercio e la ripresa avrebbe dovuto poggiare i piedi su aiuti concreti già elargiti e non su provvedimenti che si susseguono quasi senza numero pieni di promesse.
La realtà è un’altra. Anche molti ristoranti hanno seguito la stessa sorte. Sono rimasti chiusi sia perché manca la clientela sia perché aprire significa iniziare a pagare stipendi al personale e pagare senza incassare è uno dei principi che ti porta al fallimento.
Quello che sembrava un colpo di bacchetta magica che dal 18 maggio ci avrebbe dovuto restituire una nazione sorridente e fervida nella sua economia, si sta trasformando in una bastonata che senza guardare in faccia nessuno, in assenza di aiuti concreti, suona quasi come una condanna definitiva per tanti piccoli imprenditori.
Certo, il virus non lo ha portato in Italia il Governo. Dietro tutto questo dramma c’è la Cina che però tutti gli apparati si ostinano a difendere dietro un anonimato che vale i buoni rapporti economici con un gigante dell’economia che da un lato porta guadagni e dall’altro non ha remore a fare di casa tua la sua casa. In definitiva, tuttavia, se il Governo non ha colpe riferite alla pandemia, qualcuna forse ne ha riferite alla gestione della stessa. Tante conferenze e tante parole si sarebbero dovute tramutare in fatti e questo avrebbe consentito a tante saracinesche di ritrovarsi aperte e pronte con l’appuntamento di una fase2 che, al momento, non sa di nulla.