Dopo decenni di riduzioni nella spesa per la difesa, l’Europa si prepara a un significativo incremento degli investimenti militari, segnando così la fine di un’era di pace economica
di Antonio Di Ieva
Per oltre tre decenni, l’Europa ha beneficiato del cosiddetto “dividendo della pace”, un periodo in cui la riduzione delle spese militari ha permesso di destinare risorse a welfare e sviluppo sociale. Con la fine della Guerra Fredda, molti paesi europei hanno ridotto significativamente i bilanci per la difesa, investendo in programmi sociali e infrastrutture. Tuttavia, le crescenti tensioni geopolitiche, acuite dal conflitto in Ucraina e dal deterioramento delle relazioni con la Russia, stanno spingendo l’Unione Europea a riconsiderare la propria strategia di sicurezza. A complicare ulteriormente la situazione è la politica degli Stati Uniti sotto la presidenza di Donald Trump, che ha più volte sollecitato gli alleati europei ad aumentare la propria spesa militare, riducendo il tradizionale sostegno incondizionato alla NATO. Questo scenario ha evidenziato la necessità per l’Europa di rafforzare la propria autonomia strategica, accelerando il processo verso una difesa più integrata e coordinata.
La fine del “dividendo della pace” segna dunque un cambio di paradigma. Dopo anni di investimenti contenuti nel settore militare, i governi europei si trovano ora a destinare risorse sempre maggiori alla sicurezza e alla deterrenza. Nel 2025, la spesa per la difesa dell’UE raggiungerà circa 326 miliardi di euro, pari all’1,9% del PIL, rispetto ai 214 miliardi del 2021. Questo incremento rappresenta una svolta rispetto alla media di circa 150 miliardi annui nei 15 anni precedenti al 2019. La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha presentato il piano “Rearm Europe”, che prevede un investimento di 800 miliardi di euro nei prossimi quattro anni, con l’obiettivo di portare la spesa militare dal 2% al 3% del PIL europeo.
Questo aumento comporta sfide significative. La necessità di reperire fondi per finanziare gli investimenti nella difesa potrebbe portare a riorganizzazioni nei Fondi di Coesione, suscitando preoccupazioni sull’impatto sui servizi pubblici. Inoltre, l’assenza di un sistema militare unificato e di un comando politico centrale rappresenta un ostacolo per un’efficace politica di difesa comune. La frammentazione delle forze armate europee e la mancanza di una capacità di deterrenza nucleare condivisa restano questioni fondamentali da affrontare per garantire una sicurezza stabile e coordinata.
L’Italia, settima economia mondiale e seconda potenza industriale dell’UE, sta adeguando le proprie strategie per rispondere alle nuove esigenze di sicurezza. Nel 2024, la spesa militare italiana raggiungerà i 30 miliardi di euro, pari all’1,5% del PIL, con l’obiettivo di arrivare al 2% entro il 2028, in linea con gli impegni NATO. Il governo ha rafforzato le collaborazioni con gli alleati europei e investito in tecnologie avanzate, con particolare attenzione alla cyber-difesa e alla sicurezza dello spazio aereo e marittimo. L’industria della difesa italiana, trainata da colossi come Leonardo e Fincantieri, gioca un ruolo chiave nel riarmo europeo, con un forte aumento degli ordini nei settori della difesa aerea e navale. Tra i programmi strategici figura il caccia di sesta generazione GCAP, sviluppato in collaborazione con Regno Unito e Giappone.
L’aumento della spesa militare è considerato necessario per affrontare le nuove sfide geopolitiche e garantire la sicurezza del continente. Tuttavia, è essenziale trovare un equilibrio che consenta di mantenere gli elevati standard di welfare sociale che hanno caratterizzato l’Europa negli ultimi decenni. La sfida per i leader europei sarà integrare efficacemente le nuove esigenze di difesa con le priorità sociali ed economiche, assicurando che l’Europa resti un pilastro di pace, prosperità e sicurezza per tutti i suoi cittadini.
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