La Squadra Mobile di Forlì ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Forlì, nei confronti di 4 persone di origine pakistana, nell’ambito di un’articolata attività d’indagine sul fenomeno delittuoso del “caporalato” d’intesa anche con l’Ispettorato del lavoro e dell’Inail.
I 4 indagati in concorso hanno posto in essere una vera e propria organizzazione criminale in cui si reclutavano direttamente i lavoratori, si individuavano i committenti e si ponevano in essere forme di intimidazione e di minacce nei confronti di quei lavoratori che manifestavano la volontà di rivolgersi ai sindacati per far valere i propri diritti. Venivano gestite in via diretta e quotidiana i rapporti con i committenti e i lavoratori, mediante accompagnamento sul luogo di lavoro e controllo dell’attività lavorativa. Erano state costituite da alcuni di loro anche due ditte individuali risultate poi fittizie in quanto gli indirizzi indicati corrispondevano a immobili in stato di abbandono.
I lavoratori, che versavano in uno stato di bisogno, venivano spesso reclutati dai centri di accoglienza, in qualità di richiedenti asilo e pertanto non espellibili dal T.N. ed erano destinati alla raccolta di frutta e verdura o alla potatura di alberi, a cui veniva promessa una retribuzione oraria di 5 euro netti, a fronte dei 9,6 euro normativamente previsti, che per di più si tramutavano in soli 250 euro mensili di cui 200 venivano decurtati per il vitto e l’alloggio. A loro volta gli indagati ricevevano dai committenti una quota di 12-13 euro netti ad ora per lavoratore rispetto ai 20 che avrebbero dovuto versare per ogni operaio. Per tale motivo sono stati denunciati in stato di libertà i titolari delle aziende agricole site nelle province di Forlì-Rimini e Ravenna che dal settembre scorso a Gennaio 2020 hanno impiegato irregolarmente i lavoratori.
I lavoratori lavoravano mediamente dalle 60 alle 80 ore settimanali nonostante la contrattazione nel settore agricolo ne preveda un tetto massimo di 44, non disponevano di approntamenti di cantiere, e non era loro consentito espletare durante il lavoro i propri bisogni fisiologici o consumare un pasto in ambiente “riparato”.
Nel periodo di interesse gli indagati avrebbero guadagnato dagli 80 ai 100 mila euro dallo sfruttamento dei lavoratori. Il danaro veniva di volta in volta inviato attraverso i canali western union o money gram in Pakistan su conti di persone fittizie.
Quanto agli immobili utilizzati per alloggiare i lavoratori sono stati individuati dei casolari privi di acqua calda e di cibo a sufficienza oltre che di posti letto consistenti in sporchi e inadeguati materassi per di più a terra e in condizioni igienico-sanitarie precarie. Gli immobili venivano individuati in zone di campagna lontani appositamente dai centri urbani, in modo da poter sovraffollarli di tutti i lavoratori per poterli controllare ed emarginarli socialmente. Sono state identificate nel corso del tempo 45 lavoratori/persone offese prevalentemente di nazionalità pakistana e afgana.
Alle attività di esecuzione hanno dato prezioso supporto per il rintraccio degli indagati le Squadre Mobili di Modena, Treviso e Ravenna.