Lo Stato Islamico ha avuto solo due anni per preparare le difese a Mosul, Hamas ha avuto 15 anni per preparare una densa difesa di profondità che comprende il sottosuolo e la superficie.
Fortificazioni, tunnel di comunicazione, postazioni e posizioni da combattimento, campi minati, ordigni esplosivi improvvisati, mine a penetrazione esplosiva e trappole deflagranti di ogni genere negli edifici, sono solo alcune delle misure predisposte da Hamas per difendere Gaza City, centimetro per centimetro. A descrivere lo scenario infernale al New York Times, Michael Knights, collaboratore del Washington Institute.
Un campo di battaglia urbano, probabilmente mai affrontato prima che richiede un enorme sforzo in termini di uomini e capacità, anche perchè la storia insegna che occorrono almeno dieci mesi per riuscire a conseguire risultati significativi.
Al Pentagono, molti funzionari ritengono che le operazioni a Mosul e Raqqa in Iraq, dieci anni dopo quella di Falluja in Afghanistan, siano un modello da seguire per la guerriglia urbana anche se l’organizzazione e l’addestramento di Hamas, per non parlare dei finanziamenti, sono nettamente superiori.
Il comune denominatore sia a Mosul che a Raqqa è stato il significativo numero di vittime tra i civili. L’Associated Press, scrive sempre il New York Times, ha stimato tra i 9.000 e gli 11.000 il numero di civili uccisi durante la sola battaglia di Mosul.
Sulla questione si è espresso domenica scorsa il Segretario alla Difesa americano Lloyd Austin che ha sottolineato la necessità di considerare attentamente come le forze israeliane potrebbero condurre un’invasione di terra a Gaza, dove Hamas gode di un vantaggio non secondario dato dalla conoscenza millimetrica del territorio e dalla ramificata rete di tunnel che si snoda strategicamente sotto aree densamente popolate. La mappatura della fitta rete di tunnel è stata solo ipotizzata, non esistono riscontri specifici.
Altro aspetto da considerare, ha spiegato Austin, è la presenza dei civili nello spazio di battaglia perché loro sono parte dello spazio di battaglia, e noi, in conformità con le leggi internazionali, dobbiamo fare tutto quello che è necessario per proteggere quei civili.
L’amministrazione Biden, infatti, è preoccupata sul fatto che Israele non abbia obiettivi militari raggiungibili a Gaza e che l’IDF non sia ancora pronta a lanciare un’invasione di terra con un piano che possa funzionare. Proprio la sete di vendetta potrebbe essere una debolezza di Israele tanto da gettare allo sbaraglio i suoi 350mila riservisti in una trappola infernale, architettata ad arte da Hamas anche grazie all’utilizzo magistrale della dimensione cognitiva (disseminazione senza filtri delle uccisioni del 7 ottobre scorso).
Poi non è da trascurare la possibilità che dopo l’ingresso a Gaza da parte degli israeliani possano attivarsi gli Hezbollah dal Libano, forti del loro arsenale di circa 200mila razzi, ma anche le milizie ai confini con la Siria, opportunamente addestrate dai pasdaran iraniani. Anche da Gerusalemme potrebbero unirsi alla battaglia della vita i palestinesi dell’ANP, stringendo in una morsa mortale tutto il territorio israeliano. Per non parlare di un coinvolgimento diretto dell’Iran nel conflitto. Un saggio delle intenzioni e della capacità di Hamas anche l’azione via mare compiuta ieri sera da uomini rana sulle coste israeliane.
Il Pentagono ha, pertanto, deciso di inviare in Israele una delegazione di alti ufficiali con a capo un pluridecorato generale dei Marine, il tenente generale James Glynn. Ufficialmente la visita è stata motivata dalla necessità di consigliare gli israeliani ad affrontare le sfide di una guerra urbana. Un funzionario del Pentagono si è subito affrettato lunedì scorso a precisare ai media che l’invio del generale Glynn non vuol dire che gli Usa stiano decidendo con Israele sull’attacco via terra.
Altre indiscrezioni, invece, sostengono che la delegazione militare Usa sia andata a Tel Aviv sia per cercare di convincere l’alleato di desistere o ritardare l’operazione via terra per i pericoli dovuti all’uccisione di tantissimi civili sia per la conseguenza che tale attacco possa avere sull’intera regione e soprattutto su tutto l’Occidente (jihad islamica globale).
Domenica un diplomatico dell’ambasciata israeliana in America si è affrettato a negare che il governo statunitense stesse consigliando agli israeliani di ritardare l’invasione di terra.
Anche il presidente Biden durante il suo discorso a Tel Aviv la scorsa settimana ha detto che Israele avrebbe avuto bisogno di “maggiore chiarezza sugli obiettivi e di una valutazione realistica sulla possibilità di raggiungere gli obiettivi posti alla base dell’operazione via terra”.
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