Anno 2011 l’ISIS prende piede e il numero delle vittime degli attacchi di matrice islamica è cresciuto sensibilmente, assieme alla quota di Musulmani nel terrorismo mondiale che è sempre più in costante avvicinamento al 100%.
Secondo il Dipartimento di Stato Statunitense, più di 10000 attacchi di origine terrorista è avvenuto in tutto il mondo, provocando più di 21000 morti e più di 40000 feriti. In aggiunta, più di 3500 persone sono scomparse o sono state prese in ostaggio.
Il 32%, degli attacchi sono stati per mano di tre gruppi terroristici musulmani, i Talebani, ISIS e Boko Haram, ritenuti responsabili di più di 6000 morti, circa il 31.76 percento.
Quanto detto per far notare che nessun Paese del mondo è indenne dalla minaccia terroristica. Anzi no. A dir la verità esiste uno che inconsapevolmente ha attuato nel corso degli anni, la “migliore arma”, contro il radicalismo islamico. Ha attuato da subito una politica restrittiva verso i musulmani. I giapponesi non parlano mai male dei musulmani e i musulmani altrettanto, stringono solo affari commerciali con i Paesi arabi per le risorse energetiche tipo gas e petrolio.
Ovviamente, si penserà che il Giappone ha raggiunto questo risultato con politiche d’integrazione super efficaci, attraverso l’utilizzo delle più avanzate tecnologie ed assegnando miliardi di yen nella costruzione di centinaia di moschee e di scuole islamiche in tutto il territorio nazionale, vietando il maiale nei luoghi pubblici, introducendo ore separate per maschi e femmine nelle piscine, con i dottori maschili che non osano toccare i genitali delle loro pazienti, le donne musulmane che ottengono un immenso aiuto sociale ogni volta che hanno un figlio, i tribunali della Sharia introdotti nel sistema giudiziario giapponese ed, infine, il Corano che viene considerato come un testo sacro.
Niente di tutto questo. La soluzione è semplice ed efficace, visti i risultati. Il Giappone è semplicemente chiuso ai musulmani, il numero di permessi date alle persone provenienti dai Paesi islamici è infinitamente basso. Ottenere un visto di lavoro non è facile per un musulmano, anche se si è un super professionista. Il risultato? Il Giappone è un “Paese senza musulmani”.
Non c’è una stima precisa della popolazione musulmana. Secondo la dichiarazione dell’ex presidente dell’Associazione Islamica Giapponese Abu Bakr Morimoto “solo un migliaio”. Uno dei leader della comunità Islamica in Giappone, Nur Ad – Din Mori ha detto che il rapporto è uno su centomila.
Attualmente la popolazione Giapponese è di 130 milioni e quindi, se le risposte dei due leader Islamici sono corrette, dovrebbero esseri circa 1300 musulmani.
Ufficialmente il Giappone vieta di esortare le persone ad adottare la religione dell’Islam, e qualsiasi musulmano che incoraggi ciò è visto come proselite di una cultura straniera indesiderabile. I promotori, per l’appunto, che sono troppo attivi rischiano la deportazione e, qualche volta, dure condanne di carcere.
La lingua araba è insegnata in pochissimi istituti accademici: se ne può trovare, infatti, soltanto uno, l’Istituto Arabo Islamico a Tokyo. Inoltre l’università internazionale, sempre nella Capitale, non offre corsi di arabo. Importare il Corano in Arabo è praticamente impossibile, ed è permesso solo la versione adattata in Giapponese.
Fino a poco tempo fa, c’erano solo due moschee in Giappone: la Tokyo Jama Masjid e la moschea di Kobe. Ora, il numero totale di siti di preghiera è contato in circa trenta moschee a piano singolo ed un centinaio di stanze d’appartamento stanziati per le preghiere, e la società giapponese si aspetta, appunto, che tali persone preghino nelle loro case: non esiste, infatti, alcuna preghiera collettiva nelle strade o nelle piazze, e chi lo fa può ottenere delle multe molto “salate” o, in quei casi in cui la polizia giapponese ritiene seri, espellere dal Paese i partecipanti.
Dal punto di vista lavorativo, le aziende giapponesi in cerca di lavoratori stranieri fanno espressamente notare che non sono interessati ai musulmani. Non esiste alcuna traccia di Sharia, ed il cibo Halal è estremamente difficile da trovare.
La popolazione, in generale, tende a percepire l’Islam come una “religione strana e pericolosa” che un vero cittadino giapponese dovrebbe evitare, e gli omicidi avvenuti ad inizio anno dei due connazionali Haruna Yukawa and Kenji Goto per mano dell’ISIS non ha certamente migliorato la situazione.
La cosa più interessante, di tutto ciò, e che i giapponesi non si sentono in colpa per un approccio così “discriminatorio” all’Islam, e che non dovrebbero chiedere scusa ad alcuno per il modo negativo in cui percepiscono tale religione. Certamente fanno trattati economici, come detto, con gli arabi per il gas ed il petrolio, questo sì, e mantengono buone relazioni con gli esportatori medesimi, ma non con l’islam, e neanche con l’immigrazione musulmana. E, cosa strana, i musulmani in Giappone non provocano rivolte, non marchiano i giapponesi come “razzisti”, non bruciano macchine, spaccano finestre, tagliano le teste dei soldati per essere stati in Afghanistan, Iraq o in qualunque altro posto sulla Terra – e non c’è stato un singolo giapponese vittima di un attacco terrorista sul proprio suolo nazionale negli ultimi 30 anni.
Perchè l’ostilità verso l’Islam in Giappone?
I giapponesi tendono a generalizzare le considerazioni sull’Islam, considerando i musulmani dei fondamentalisti che non riescono a liberarsi dalle visioni tradizionaliste e adottare sistemi di vita moderni. L’Islam in Giappone è considerato una religione sospetta, da cui tenersi alla lontana. La maggior parte dei giapponesi non ha affiliazione religiosa, benché i membri delle alte sfere del paese si conformino a pratiche religiose scintoiste e buddiste. In Giappone, la religione è legata ai principi nazionali, con dei pregiudizi sugli stranieri, in particolare cinesi, coreani, malaysiani, indonesiani e in fondo anche sugli occidentali. Alcuni definiscono questo atteggiamento una “consapevolezza nazionale sviluppata”, mentre altri lo considerano una forma di razzismo—in entrambi i casi non ci si sbaglia di molto. I giapponesi non riconoscono il monoteismo né la fede in una divinità astratta, forse perché il loro mondo di idee è legato alla materia, non alle credenze e ai sentimenti. Sembra anche che associno il giudaismo all’Islam.
Il Cristianesimo, per contro, non è percepito negativamente, probabilmente per l’immagine di Gesù che è considerata allo stesso modo dell’immagine di Buddha. Ciò che è ancora più interessante è il fatto che i giapponesi non ritengono di doversi scusare per le relazioni negative con l’Islam. In Giappone non ci sono, come in altri Paesi, organizzazioni per i “diritti umani” che operano come agenzie di supporto ai musulmani contro la posizione del governo. In Giappone non ci sono organizzazioni malavitose che trafficano in clandestini illegali per guadagnare qualche yen, e non c’è quasi nessuno che dia aiuto legale agli immigrati musulmani per far avere loro il permesso di soggiorno, la residenza o la cittadinanza.
Un altro elemento che previene l’immigrazione islamica in Giappone è l’atteggiamento dei giapponesi nei confronti dei lavoratori stranieri, che non sono bene accetti perché rubano il lavoro ai giapponesi.
Il consenso sociale e politico contro l’immigrazione islamica ha creato una cortina di ferro attorno al Giappone che i musulmani non riescono a valicare e che previene qualsiasi critica internazionale, poiché nessuno in Giappone si convincerebbe ad aprire le porte del paese all’immigrazione islamica.
Forse poteva essere una soluzione per tutti. In Europa oggi è troppo tardi e presto la popolazione che professa la religione musulmana supererà quella delle altri religioni……..immaginate cosa potrebbe accadere! Non mettiamo la testa sotto la sabbia, come è stato fino ad ora.
di Massimiliano D’Elia