Giappone, tra il dopo Kishida e la nuova politica di difesa e sicurezza

di Fabrizio Ciannamea

Tra pochi giorni si conoscerà il nome del successore del primo ministro giapponese, Fumio Kishida. Il prossimo 27 settembre, infatti, ben nove candidati si sfideranno per la presidenza del Partito Liberal Democratico (PLD) che, attualmente, è la principale forza parlamentare della coalizione di centrodestra (insieme al Kōmeitō, partito di ispirazione buddista) e guidato proprio dal conservatore Kishida. 

Il vincitore delle elezioni resterà in carica tre anni ed assumerà, in automatico, il ruolo di primo ministro. 

Kishida, lo scorso 14 agosto, ha annunciato di non volersi ricandidare, avendo preso atto della netta diminuzione dei consensi popolari nei suoi confronti, a causa di una serie di scandali che hanno investito alcuni esponenti del PLD nella gestione dei fondi elettorali. 

Molto probabilmente, chi vincerà queste elezioni sarà anche candidato come primo ministro da parte del PLD per le votazioni dei membri della Camera dei Consiglieri, cioè la Camera alta della Dieta, nonché per quelle della Camera dei Rappresentanti, che è invece la Camera bassa, previste rispettivamente per luglio ed ottobre 2025.

Il numero record dei candidati è conseguente allo scioglimento delle diverse fazioni interne al PLD dopo lo scandalo dei fondi elettorali. 

Secondo un sondaggio pubblicato dal quotidiano The Asahi Shimbun e condotto telefonicamente tra il 14 e 15 settembre scorso, al momento, risulta in testa Shigeru Ishiba con il 26% delle preferenze degli intervistati, seguito da Shinjiro Koizumi con il 21% e Sanae Takaichi con l’11%. Quarta l’attuale ministro degli esteri, Yōko Kamikawa. 

Shigeru Ishiba è stato segretario generale del Partito Liberal Democratico e, tra il 2007 ed il 2008, ha rivestito il ruolo di ministro della difesa. 

Qualche giorno fa Ishiba avrebbe dichiarato di essere favorevole alla creazione di una “versione asiatica della NATO” e che vorrebbe prendere in considerazione la modifica del SOFA, il Trattato di sicurezza concluso tra Giappone e Stati Uniti nel 1960 e che, tra le varie cose, disciplina le operazioni militari effettuate dagli Stati Uniti su suolo nipponico. 

Il SOFA è stato oggetto di critiche da parte dell’opinione pubblica giapponese, che considera le clausole relative alla punizione dei crimini commessi da militari americani in Giappone troppo squilibrate a favore degli Stati Uniti.

Al terzo posto nel sondaggio c’è Sanae Takaichi, che dal 2022 è ministro di Stato per la sicurezza economica. Nel caso in cui dovesse vincere le elezioni, sarebbe la prima donna in Giappone a rivestire la carica di primo ministro. Takaichi, in politica economica, sembra avere un punto di vista simile a quello di Shinzō Abe, l’ex primo ministro assassinato durante un comizio nel 2022. 

Inoltre, come riportato dal The Asahi Shimbun, Takaichi sarebbe favorevole a perseguire la crescita economica con “stimoli fiscali strategici” volti a creare posti di lavoro ed aumentare i redditi. Avrebbe, inoltre, indicato come ulteriore obiettivo politico la modifica della Costituzione per precisare, in essa, lo status giuridico e quindi il ruolo delle Forze di autodifesa che, ad oggi, hanno un grande limite organizzativo ed operativo, imposto dall’articolo 9 della Carta fondamentale.

Su quest’ultimo punto, il Governo Kishida è stato protagonista di una importante riforma della politica della sicurezza e della difesa. Forse la più importante dal dopoguerra.

Tale riforma è nata con la pubblicazione, a fine 2022, di tre documenti programmatici aventi ad oggetto la National Security Strategy (NSS), la National Defense Strategy (NDS) ed il Defense Buildup Program (DBP), con i quali il governo giapponese, oltre a prevedere un aumento della spesa pubblica per la difesa, ha disegnato le nuove coordinate strategiche della politica di sicurezza e difesa, ponendosi, come obiettivi fondamentali, il rafforzamento: dell’infrastruttura per la difesa nazionale; della capacità di deterrenza e risposta congiunta dell’alleanza Giappone – Stati Uniti ad eventuali minacce; della collaborazione con i Paesi alleati diversi dagli Stati Uniti. 

La politica adottata dal governo di Tokyo è figlia dell’aumento delle recenti tensioni internazionali che interessano l’area dell’Indo-Pacifico, riguardanti la Cina, con la questione di Taiwan e la Corea del Nord.

In questo contesto, il Giappone gioca un ruolo fondamentale, soprattutto in relazione all’alleanza strategica con gli Stati Uniti in chiave anticinese.

Come spiegato dall’ISPI, in base alla National Security Strategy, Tokyo dovrà dotarsi di armamenti che consentano di poter rispondere, in maniera efficace, all’eventuale minaccia di Paesi nemici. 

Potrà, inoltre, potenziare le proprie Forze di autodifesa attraverso la collaborazione per lo sviluppo di armi con partner diversi dagli Stati Uniti. E questo rappresenta una rivoluzione nella storia delle relazioni internazionali del Giappone con altri Paesi dalla fine della Seconda guerra mondiale.

È quanto sta accadendo, ad esempio, nel Global Combat Air Programme (GCAP): programma di collaborazione internazionale che coinvolge Italia, Regno Unito e, appunto, Giappone finalizzato a sviluppare un sistema aereo di nuova generazione entro il 2035. L’Italia, in particolare, dà il proprio contributo al progetto con Leonardo, insieme alla britannica BAE Systems ed alla giapponese Mitsubishi Heavy Industries. 

In quest’ottica, la nuova politica di sicurezza giapponese si inserisce nel solco tracciato anche dal Quadrilateral Security Dialogue (QSD): alleanza strategica tra Australia, Giappone, India e Stati Uniti con lo scopo di contenere l’espansionismo cinese nella regione dell’Indo-Pacifico, ideata proprio da Shinzō Abe. 

Altro punto fondamentale affrontato nel documento sulla National Security Strategy è il rafforzamento dell’asse militare con Washington, che dovrebbe passare, come chiarito dall’ISPI anche dal migliore coordinamento tra le strutture di comando delle Forze di autodifesa e il comando delle forze statunitensi stanziate in Giappone

I documenti programmatici voluti da Kishida rappresentano una rottura col passato per un Paese che, mediante l’approvazione dell’articolo 9 della Costituzione, durante l’occupazione statunitense, ha rinunciato “per sempre alla guerra” e al mantenimento “delle forze di terra, mare ed aria”, così come di qualsiasi altro mezzo bellico. 

Inoltre, la popolazione giapponese, come spiega Edwin O. Reischauer in Storia del Giappone – Dalle origini ai giorni nostri (ed. Bompiani, 2010), al termine della Seconda guerra mondiale ha avuto una forte “reazione” alla guerra che si è manifestata proprio in una stringente politica antimilitarista. Anche questo è un dato politico e sociale che va analizzato alla luce delle recenti riforme di Kishida. 

Ora, la modifica di tale articolo della Carta fondamentale è tra i punti cardine che il PLD dovrà affrontare, qualora dovesse restare al governo nel 2025. 

Anche per questo motivo, sarà fondamentale seguire con attenzione non solo l’elezione del nuovo presidente del Partito Liberal Democratico e, quindi, del primo ministro, ma anche gli sviluppi che quest’ultimo vorrà dare alla politica di difesa e sicurezza, nonché a quella legislativa in tali materie. Considerando che in Estremo Oriente la tensione continua a crescere.

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