La corsa in ospedale per riconoscere i figli morti durante l’attacco del 7 ottobre, con una richiesta specifica: congelere il loro seme
E’ una pratica molto diffusa in Israele, l’inviata di Repubblica a Tel Aviv scende nei dettagli della vicenda con un suo editoriale. Alcuni genitori di giovani uccisi al festival Nova si precipitarono all’ospedale Kaplan di Rehovot per il prelievo dello sperma dei loro figli. Ricevuta l’autorizzazione dai tribunali competenti, in tempi record, i medici hanno così potuto prelevare e congelare il seme di centinaia di ragazzi. Nelle settimane successive, le famiglie hanno selezionato donne per la maternità surrogata, una pratica risultata sempre più diffusa in Israele dall’inizio della guerra a Gaza.
Secondo il ministero della Sanità israeliano, oltre 200 vittime del conflitto hanno avuto il loro sperma estratto e conservato. La Postmortem Sperm Retrieval (PMSR) esiste in Israele da almeno 20 anni, ma dal 7 ottobre il numero di richieste e prelievi è aumentato di 15 volte rispetto al passato. La gestione è ora centralizzata sotto il ministero della Sanità e affidata a quattro ospedali autorizzati. Si stima che circa il 30% dei soldati morti abbia avuto il proprio sperma conservato, spesso senza aver lasciato mogli o fidanzate. In questi casi, sono i genitori a fare la richiesta, senza la necessità di un consenso giudiziario, tranne in alcune situazioni specifiche. Questa liberalizzazione è stata accelerata per massimizzare le probabilità di successo della procreazione assistita, che aumentano se il prelievo avviene entro 24 ore dal decesso.
Il tema ha acceso un intenso dibattito etico e sociale in Israele. Tuttavia, il desiderio di garantire la continuità e il rafforzamento demografico del Paese sembra prevalere sulle questioni relative alla mancanza di consenso esplicito delle vittime. La volontà di dare vita, dopo la morte, accomuna israeliani e palestinesi in questo conflitto. Anche in Cisgiordania, molte famiglie palestinesi hanno aggirato le restrizioni legali per realizzare il desiderio di paternità. Negli ultimi vent’anni, più di 80 bambini palestinesi sarebbero nati grazie allo sperma contrabbandato da prigionieri detenuti nelle carceri israeliane, poi utilizzato per fecondazioni assistite in cliniche della Cisgiordania.
Uno dei casi più noti è quello di Walid Daqqah, attivista e scrittore condannato all’ergastolo in un processo ritenuto iniquo da organizzazioni umanitarie come Amnesty International. Morto lo scorso anno in prigione, Daqqah è riuscito a concepire una figlia, Milad, il cui nome in arabo significa “nascita”.
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