(di Massimiliano D’Elia) Olimpio Guido su Corsera parla, senza peli sulla lingua, delle operazioni mai terminate del Mossad israeliano nei confronti dei militanti di Hamas e nei confronti dei vari fiancheggiatori del gruppo terroristico sparsi nel mondo. I cosiddetti artificieri di Hamas, coloro i quali riforniscono Hamas di armi a basso costo ovvero studiano nuovi sistemi d’arma “rudimentali” reperiti sul mercato commerciale tradizionale e poi modificati per uso bellico.
Nidal Farahat è al lavoro in un’officina di Gaza, una specie di garage a dir la verità, su un modello di drone acquistato sul mercato civile e con lui alcuni militanti di Hamas che si occupano dello sviluppo di nuove armi. In questa occasione il Mossad riesce a mettere un esplosivo in quel drone, tutti morti. Nel 2009 Hamas importa, con l’assistenza dell’Iran, i missili Fajr. I carichi arrivano via nave in Sudan, proseguono lungo le piste dei contrabbandieri verso il Sinai egiziano per essere quindi trasferiti a Gaza. Anche in questo caso Israele è molto vigile: un raid aereo colpisce un convoglio di camion nella regione sudanese di al Shananun. Gli israeliani sulla stessa pista affondano un cargo nei pressi di Port Sudan nello stesso anno fanno esplodere un bus a Damasco che trasportava esperti militari di Hamas e Teheran. I pasdaran o guardiani della rivoluzione della Repubblica islamica dell’Iran forniscono materiale finito e tecnologia, svolgono la funzione di consiglieri mentre l’alleato mette in piedi una propria industria con inusitata inventiva e determinazione considerate le scarse risorse di Gaza.
L’asse di ferro Iran-Hebzollah-Hamas è molto saldo. Nel 2010 in un hotel di Dubai viene assassinato Mahmoud al Mabhouh, un venditore di armi di primo livello che intrattiene rapporti con Teheran e vari personaggi in Sudan. In Ucraina nel febbraio del 2011, viene rapito su un treno Diran Abu Sisi, ingegnere, esperto nel campo missilistico in Est Europa. Lo portano nello Stato ebraico, lo chiudono in cella e ottengono informazioni importanti. Che probabilmente sono usate per un nuovo strike a Port Sudan ai primi d’aprile: il target è il presunto successore di al Mabhouh. A fine maggio dello stesso anno nel porto sudanese salta in aria Nasser Said, membro del clan Abada.
A giugno a Damasco trovano il corpo semicarbonizzato di Kamel Ranaja, un procacciatore di armi. Ad ottobre 2012 i sudanesi accusano Gerusalemme di aver bombardato con i caccia una fabbrica di munizioni a Yarmuk. Nel 2016 in una operazione viene ucciso in Tunisia, Mohamed Zawahiri. Nell’aprile del 2018 a Kuala Lumpur viene assassinato Fadi al Batsh.
E’ chiaro che Israele sotto la minaccia dichiarata dell’Iran di raderla al suolo con la bomba atomica (semmai un giorno sarà in grado di disporla) non rimane a guardare e cerca di indebolire, di giorno in giorno, il nemico numero uno ma anche i tanti nemici regionali e non che in diversi modi gli hanno dichiarato guerra. Il lavori in corso a Vienna per il ritorno all’accordo sul nucleare degli Stati Uniti che hanno favorito anche un allentamento delle sanzioni commerciali all’Iran ha lasciato sorpresi gli alleati storici israeliani che non potevano, anche in questo caso, rimanere a guardare. Il 18 giugno prossimo verranno sbloccati un paio di miliardi iraniani custoditi all’estero per aiutare l’economia di Teheran, una mossa questa degli USA per dimostrare l’attenzione verso il rientro nei termini dell’accordo JPCOA. Ad Israele ma anche all’ala intransigente iraniana, sotto la guidia di al Khamenei, sfavorevole all’apertura al mondo occidentale e al rientro da parte degli Usa all’accordo sul nucleare non rimaneva altro che creare un diversivo attivando le cellule di Hamas. Troppo inconsistente la motivazione del conflitto di questi giorni, lo sfratto di alcuni coloni presso la striscia di Gaza. In questo modo Israele ha ottenuto un duplice risultato: congelare i colloqui di Vienna sul JPCOA e uccidere con maggiore disinvoltura altri alti funzionari del regime di Hamas. Questa volta Hamas è diventato un mezzo di persuasione in politica estera per reindirizzare questioni complesse in senso più favorevole a Tel Aviv.