Domenica scorsa, il Daghestan è stato teatro di un tragico e violento attentato che ha sconvolto la regione e scosso l’intera Russia. Sedici poliziotti, tre civili, un prete e cinque terroristi sono rimasti uccisi in un’azione coordinata che ha visto attaccare due moschee e assassinare un pope. Dietro questi attacchi, vi è una famiglia ben nota nella loro città natale, Sergokala: gli Omarov
di Emanuela Ricci
Magomed Omarov, il patriarca della famiglia, rappresenta l’esempio perfetto di fedeltà assoluta al presidente Putin. Ex capo del Kolkhoz e segretario giovanile del Pcus durante l’era sovietica, Magomed è diventato successivamente uomo d’affari e politico influente. Presidente della banca locale e poi segretario provinciale di Russia Unita, ha mantenuto una solida base elettorale per 14 anni.
Nonostante la sua carriera impeccabile e il suo impegno politico secondo la linea putiniana, la sua famiglia ha, invece, preso una direzione drammaticamente diversa. Due dei suoi figli, Osman e Adil, e un nipote, Ali, sono tra i terroristi responsabili degli attacchi di domenica. Gli altri due attentatori erano amici intimi degli Omarov, tutti cresciuti a Sergokala sotto l’influenza di Magomed.
Osman, 31 anni, ha abbandonato il suo locale e una promettente carriera in banca per unirsi alla causa jihadista. Adil, 37 anni, laureato in giurisprudenza, ha lasciato la sua azienda di manutenzione di reti idriche per inseguire il paradiso promesso ai martiri del jiadhismo. Ali, il nipote, ex leader della sezione provinciale del partito Russia Giusta, ha dato fuoco a una sinagoga e scritto versetti del Corano sui muri, abbracciando il wahhabismo, una delle correnti più integraliste dell’Islam.
La radicalizzazione di questi giovani rampolli evidenzia una preoccupante tendenza nella Russia di Putin. Mentre il presidente ha consolidato il suo potere barattando democrazia per sicurezza, l’attuale attenzione sul conflitto ucraino sembra aver indebolito le maglie della sicurezza nel paese. Il silenzio di Putin dopo l’attacco e la mancanza di rivendicazioni da parte dell’Isis-K, che ha però elogiato gli attentatori, sottolineano la complessità della situazione.
Questi attacchi, perpetrati da membri della classe dirigente e non da disperati arruolati sul web, come nel caso degli immigrati dal Tagikistan che a marzo hanno attaccato il Crocus City Hall, rappresentano una sfida significativa per il governo russo. La minaccia interna di radicalizzazione tra i giovani benestanti è un fenomeno che potrebbe destabilizzare ulteriormente la regione e mettere a dura prova la tenuta del potere di Putin.
Russia Unita, il partito di Putin, continua a propagandare la necessità di un potere assoluto per combattere i “nazisti ucraini” e i “fanatici islamisti”, ma gli eventi recenti dimostrano che il problema è più profondo e radicato di come i dirigenti del partito pensano. Se i figli di un influente segretario provinciale scelgono la via della distruzione del proprio paese, c’è evidentemente qualcosa di profondamente errato nel sistema.
La Russia necessita di una forte e credibile sicurezza interna perchè ha bisogno di concentrarsi sulle faccende internazionali che la vedono direttamente coinvolta in una guerra e vittima di sanzioni economiche sempre più stingenti, con un processo di pace che stenta a partire nel verso auspicato da entrambi le parti. All’orizzonte le prossime presidenziali americane potrebbero, però, costituire il vero punto di svolta in un senso o nell’altro, ovvero verso la pace o una inevitabile escalation.
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