(di Massimiliano D’Elia) Salvini suona la carica di un “governo con le palle” e annuncia un ribaltone sovranista in Europa. Di Maio arringa i suoi follower col sorriso. Pronto al ‘ritiro’ natalizio con Alessandro Di Battista, di ritorno dal Sud America.
“Dibba” chiama il vicepremier “fratello” e dice di voler tornare a smentire certe “stronzate” su di lui. Ma sulla proposta di Di Maio di fare da ‘frontman’ alle europee, l’ex deputato per ora non si sbilancia.
Questi gli animi dopo il travagliato passaggio della manovra 2019 al Senato.
Non era mai successo che la manovra economica arrivasse in “zona cesarini”, ma alla fine dopo tante polemiche e con la fiducia in aula, la manovra del cambiamento è stata approvata e bollinata dalla Ragioneria Generale dello Stato.
Accuse e rilievi bipartisan hanno cercato di smontare pezzo per pezzo la manovra del “compromesso”, la manovra, frutto di un tira e molla estenuante in Europa e Italia. L’unico vincitore, colui che ne è uscito meglio di tutti, è stato il presidente del consiglio Giuseppe Conte. Il ricordo della sua timida apparizione, subito dopo la nomina a capo del governo, rimane solo nelle immagini dell’epoca. Ha dimostrato pacatezza, signorilità, ineguagliabile capacità di mediazione e di mirabile spirito di sopravvivenza di fronte all’imprevedibilità degli eventi.
I due soci di maggioranza del governo, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, dopo mesi di proclami ed invettive ne escono fortemente ridimensionati (lo rivela FI dopo aver commissionato un segretissimo sondaggio che vedrebbe la Lega e il M5S e i due leader in sensibile calo).
Salvini e Di Maio si sono sgonfiati e alla fine hanno dovuto cedere al diktat delle istituzioni europee. Anche se l’Italia non ne è uscita proprio sconfitta e supina, comunque non ha potuto dettare “in toto” la sua linea spregiudicata e sprezzante delle regole comunitarie. L’Europa, le agenzie di rating e lo spread hanno praticamente “addomesticato” i due vice premier che, per ora, hanno dovuto accettare un 2,04 per cento di deficit/pil con previsione di crescita all’1 per cento e non all’1,5 per cento. Per non parlare delle clausole di salvaguardia sull’Iva e sul tagliando di gennaio da parte della Commissione Ue. Messi all’angolo per ora, in attesa delle prossime elezioni europee di fine maggio.
Dopo il tour de force al Senato, tuttavia, il leader della Lega Matteo Salvini e del M5S Luigi Di Maio, hanno voluto assicurare il proprio elettorato dicendo che “è solo l’inizio”. Pochi gli accenni sulle due misure più attese, reddito di cittadinanza e quota 100 per le pensioni. Inizieranno dal prossimo marzo e non da gennaio e, soprattutto, verso una platea ancora incerta.
Di Maio sul reddito di cittadinanza ha, però, sbottato dicendo: “Io ci sto in questo governo finche’ porteremo avanti più diritti per le persone”. Nel M5s c’è chi legge il messaggio come rivolto a chi, anche nella Lega, fin dall’inizio ha frenato sull’assegno a 780 euro per i redditi più bassi.
I soldi ci sono e la misura partirà “a marzo”, dice Di Maio. E sul blog M5s compare un calcolo “a prova di studente delle elementari e giornalista” che proverebbe che 7,1 miliardi bastano a coprire la misura.
Tuttavia nel governo c’è chi continua a sostenere che sarà difficile far quadrare conti e tempi, dal momento che quei soldi servono anche per pensioni di cittadinanza e centri per l’impiego.
Nel frattempo anche altre tensioni agitano e non poco la maggioranza. Nicola Morra, presidente pentastellato della commissione Antimafia, lancia l’allarme su una norma leghista per alzare la soglia per l’affidamento diretto di appalti pubblici: “Lavorero’ per cambiarla”, promette.
L’opposizione (PD e FI), invece, scommette che il governo non durerà. La campagna elettorale da avversari per le europee, sostengono, allontanerà i due leader. Ma Salvini, che in una “videoconferenza” con Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni sigla l’accordo sul candidato unico alle regionali in Abruzzo, li liquida con una scrollata di spalle: il governo “dura cinque anni” e a gennaio, annuncia, la Lega riparte su legittima difesa e autonomia per le regioni del Nord.