(di John Blackeye) Di reddito universale non avevo mai sentito parlare. In questo periodo di pandemia mondiale in cui davvero la virulenza del contagio ci potrebbe far pensare ad una sorta di Giudizio Universale, non avrei mai pensato che qualcuno avrebbe potuto proporre un reddito universale, cioè un reddito per tutti, a prescindere.
I dettagli dell’iniziativa o della proposta non sono stati meglio specificati. Per carità, ognuno è libero di fare proclami e di sponsorizzare soluzioni più o meno eclatanti. Mi viene in mente quella dell’attore Albanese in uno dei suoi film “cult” in cui prometteva in una competizione elettorale poco credibile: “Chiu ….per tutti”. Ma di un reddito per tutti non ne avevo mai sentito parlare.
La libertà di opinione in Italia è garantita dalla carta costituzionale ma se queste proposte sono avanzate da un leader fondatore di un movimento politico al Governo, allora le cose cambiano.
Certo la pandemia ha messo in luce la necessità di trovare risorse economiche per consentire a quelli che in questo stato di emergenza hanno perso il posto di lavoro. E pare che in questi giorni proprio a loro lo Stato stia cercando di rivolgere uno sguardo per evitare che “la fame” possa portare a disordini.
Chiunque abbia superato un esame di storia, in qualsivoglia percorso universitario, ha imparato dal passato che le rivoluzioni si fanno quando si ha lo stomaco vuoto. E se in Italia la popolazione è sempre rimasta buona e accondiscendente può essere dovuto al fatto che oltre alla partita di calcio domenicale non gli è mai mancato un piatto di pasta e dieci euro per mettere la benzina alla macchina per la scampagnata fuori porta.
Ma proporre un reddito per tutti è una proposta che a me, che non sono né un economista e né un politico, mi suona tanto come una “boutade” da palcoscenico.
Senza avere una grande esperienza di meccanismi finanziari e nemmeno conoscenza delle articolate strutture organizzative del mondo del lavoro, mi pare chiaro che in una società moderna, basata appunto sul lavoro, occorre mettere in moto un ingranaggio in cui partendo dalla base della società, ognuno sia in grado di produrre e di guadagnare. Se si guadagna senza produrre, penso che il sistema non possa reggere.
Mi chiedo come possa girare l’economia se il flusso dei denari giunge ai destinatari senza creare lavoro. Si avrebbe l’appiattimento della società ma a questo punto, la domanda base, proprio la prima, da fare al personaggio che ha proposto tale soluzione è la seguente: “Ma i soldi, lo Stato, da dove li tirerebbe fuori per mantenere milioni e milioni di bamboccioni di mestiere? Dalle tasse che il denaro regalato, perché di regalo si tratta, genererebbe perché immesso nel mercato reale? Boh?
La proposta è stata sicuramente molto approssimativa come è stata altrettanto approssimativa l’analisi prospettata dal sottoscritto ma viene da pensare se il vecchio proverbio “A ognuno il suo” non sia più attagliato in questa situazione che in tante altre.
Se qualcuno, infatti, nasce portato per fare un determinato mestiere, magari intrattenere milioni di persone davanti ad un televisore, facendole divertire come altri non saprebbero fare, non è che poi si può diventare leader di movimenti politici che pretendono di prendere in mano le redini di uno Stato con sessanta milioni di abitanti. Sembra che le ricette, per risollevare il Paese le conoscano solo al moVimento delle Stelle.
Le analisi finanziarie, gli impatti economici e le soluzioni alle crisi come questa, lasciamole nelle mani degli esperti. Improvvisare, specialmente in momenti di crisi, o ingenerare false aspettative, può soltanto creare confusione e squilibri di sistema che poi è difficile riportare in asse.
È chiaro che la prossima tornata elettorale ridisegnerà lo scenario politico nazionale asfaltando e cancellando se non del tutto, l’attuale quadro rappresentativo parlamentare, relegando fenomeni politici nelle pagine di storia che saranno studiate dai posteri.
Ma nel frattempo, cioè da qui alle prossime elezioni, evitiamo di fare ulteriori danni.