di Giovanni Carini
Da oltre dieci anni orsono assistiamo ad una svolta epocale strumentale alla definizione delle controversie, non necessariamente giudiziarie. La ratio è quella di definire le liti prima che sfocino in un controversia attraverso lo strumento delle procedure che possiamo definire sinteticamente come alternative alla sede contenziosa.
Questi procedimenti hanno come comune denominatore quello di tracciare un solco, tra l’occasione del contenzioso e più specificamente tra la questione che potrebbe sfociare in una controversia giudiziaria e la sua preventiva bonaria definizione.
In tale contesto, assumono un ruolo di centralità le figure professionali previste dal legislatore che a vario titolo svolgono un ruolo chiave nell’attuazione della finalità legislative e che sono il mediatore le parti e l’avvocato.
Nel nostro ordinamento sono stati introdotti più o meno recentemente, diversi strumenti che possiamo definire alternativi alla tutela giurisdizionale contenziosa, con la finalità di fornire strumenti paralleli al processo. La prima timida espressione è rappresentata dal DL 28/2010 sulla mediazione obbligatoria e dalla normativa sulla negoziazione obbligatoria e, successivamente, dalla nota legge di composizione della crisi di sovraindebitamento (legge 3 del 2012 disposizioni in materia di usura e crisi da sovraindebitamento). In tale contesto si inserisce anche il decreto legge 118/2021 convertito nella legge 21/10/2021 n. 147
Orbene la ratio che ha ispirato il legislatore, in origine, era principalmente e soprattutto quella deflattiva, al precipuo scopo di risolvere il problema del sovraffollamento dei Tribunali offrendo strumenti alternativi che alla fine dessero un risultato analogo se non migliore del provvedimento giudiziale.
In tale quadro sistematico si inserisce anche la legge di composizione della crisi da sovraindebitamento con la quale il legislatore, quasi avesse previsto il futuro, ha inteso affrontare un altro profilo reso ancora più attuale e preponderante della diffusa crisi economica che determina il ricorso a procedure giudiziali a tutela del credito, in molti casi irreversibili per debitore e non sempre satisfattivi per il creditore.
Siamo tuttavia in un periodo (2012) in cui non si prevedeva minimamente che si sarebbe verificato l’evento pandemico che ha inciso notevolmente ed inesorabilmente sulla economia nazionale. Ed ecco quindi che si è passati ad una legislazione che ha come principale obiettivo non soltanto quello di evitare il ricorso al Tribunale, ma anche e soprattutto quello di gestire stragiudizialmente gli effetti devastanti della crisi e salvare le imprese che abbiamo quel potenziale sufficiente per potere uscire dalla eventuale decozione.
In coerenza, con tale processo evolutivo, il legislatore con la legge 21/10/2021 sulla crisi di impresa ha affinato la tecnica, prevedendo dei criteri di realizzazione della procedura negoziale molto più stringenti e tecnici rispetto a quelli previsti, per esempio, in materia di mediazione, laddove vige in linea generale un principio di libertà delle forme.
In realtà, per ben comprendere quello che è l’iter evolutivo dei procedimenti alternativi, è opportuno fare un cenno alle esperienze similari a noi note, per poter trarne gli aspetti caratteristici e comuni alle negoziazioni in genere, distinguendo poi le peculiarità dei diversi procedimenti, anche in ragione della diversa finalità e modalità di realizzazione che li contraddistinguono.
Ciò posto va estrapolato il principio a tutti i procedimenti alternativi stragiudiziali: le parti non possono essere costrette a definire le controversie regolamentando le proprie situazioni giuridiche tramite i rimedi alternativi ma laddove esperissero la relativa procedura perché costretti dalla legge o per libera scelta; il procedimento deve essere osservato con effettività serietà e diligenza. E la concreta realizzazione di tale finalità è affidata prima di tutto agli organi del procedimento in combinato disposto tra le linee guida di professionalità e rigore imposte all’esperto e le relative modalità attuative che in parte attengono al procedimento, nel senso formale del termine ed in parte a quella abilità negoziale non scritta ma che deve estrapolarsi dalla esperienza tratta da istituiti similari.
Nel caso della mediazione va ricordato che sono state previsti agevolazioni fiscali –il credito di imposta l’esenzione dalla imposta di registro per le conciliazioni al di sotto di €50.000,00 che con la recente riforma è aumenta ad €100.000,00 nonché gli strumenti che potremmo definire di contenuto sanzionatorio, per garantire che il procedimento non si riduca ad una mera formalità. Tra questi ultimi vanno ricordati l’equiparazione della mancata partecipazione all’argomento di prova ex art.116 cpc. 2 comma cpc; la sanzione del contributo unificato carico della parte che si dimostri negligente nel procedimento alternativo fino a pervenire alle sanzioni di improcedibilità della domanda laddove si ometta di osservare quei comportamenti atti a rappresentare il corretto approccio al procedimento come ad esempio la mancata partecipazione personale la mancata proposizione della domanda di mediazione nel termine legale o quello fissato dal Giudice.
Fatta la norma, è l’abilità delle parti e dei professionisti che garantisce il buon esito o comunque il corretto legittimo e fattivo andamento del procedimento di mediazione e quindi l’opera consapevole e illuminata di chi si approccia con la giusta serietà al procedimento e in tale contesto, rientrano tutti protagonisti delle procedure alternative ivi compresi gli arbitri nell’ambito dei procedimenti da realizzare.
La recente riforma cd Cartabia ha cercato di dare linfa in particolare allo strumento della mediazione cristallizzando peraltro in apposite norme, le interpretazioni giurisprudenziali quelle dottrinali e la prassi applicativa.
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