(di Massimiliano D’Elia) Come fanno a riaprire le aziende e le attività commerciali, già in sofferenza per via dei mancati guadagni, se dovranno anche provvedere alle spese di sanificazione dei locali? Tranquilli ci ha pensato il Governo, con il Decreto “Cura Italia”.
L’Inail ha girato a Invitalia la somma di 50 milioni di euro, messa a disposizione dal Governo, ritenuta congrua, e non si sa in base a quali valutazioni, per ristorare gli imprenditori per le spese sostenute per l’ acquisto di Dpi e sanificazioni.
Milioni che il dott. Domenico Arcuri, numero uno di Invitalia, tramite il “Bando Impresa Sicura” ha messo a disposizione delle aziende l’11 maggio scorso con il “click day”.
Un successo! Così, esordiva una nota stampa di Invitalia per amplificare la bontà dell’iniziativa e dare luce al proprio Capo, visto che quasi ogni giorno viene attaccato per via dei suoi proclami che non trovano quasi mai riscontro nella realtà (es. mascherine a 50 cent.): “Dopo appena un minuto dall’apertura dello sportello, avvenuta alle 9, erano già state effettuate 59.025 mila richieste di prenotazione da parte di 42.753 imprese per un importo di 498.841.142 euro. Dopo undici minuti le prenotazioni erano diventate 91mila. Alle 9,42 erano 110.749 per oltre un miliardo di euro di richieste di rimborsi”.
Peccato che nella nota stampa non c’era anche scritto: ”Scusate abbiamo sbagliato le nostre valutazioni (Governo-Inail-Invitalia), abbiamo in dote solo 50 milioni di euro, non possiamo accontentare tutti. Possiamo corrispondere solo fino alla 3.151 impresa, per le altre (208.826) non abbiamo più i soldi”.
Un errore da veri incompetenti, perché il numero delle aziende in Italia è certificato, come anche le previsioni di spesa per la sanificazione delle aree di lavoro. Bastava fare una semplice moltiplicazione. Anziché briciole, sarebbero serviti oltre 1,2 miliardi di euro per accontentare tutta la platea che aveva aderito al Bando Impresa Sicura.
Però tranquilli, c’è il bazooka del Decreto Rilancio che ha in dote ben 55 miliardi di euro. Peccato che il Dl Rilancio di Rilancio ha solo il nome. Lo avrei chiamato Decreto cerotto, tampone o sussidi, perché con mance e prebende ha cercato di accontentare tutti, tranne indirizzare risorse a misure concrete per il vero rilancio del Paese. Un pugno allo stomaco sono quei 150 milioni di euro di bonus destinati per l’acquisto di monopattini e biciclette, tre volte tanto rispetto ai fondi destinati alle imprese con il Bando Impresa Sicura.
Il Governo è intervenuto, come al solito, a modo suo. All’articolo 125 del Dl Rilancio, denominato – Credito d’imposta per la sanificazione e l’acquisto di dispositivi di protezione– si legge che “ai soggetti esercenti attività d’impresa, arti e professioni, agli enti non commerciali, compresi gli enti del Terzo settore e gli enti religiosi, spetta un credito d’imposta pari al 60% delle spese sostenute nel 2020 per sanificazioni e acquisto di Dpi”. Cioè il 40 per cento è a carico totale delle imprese. Evviva!!!
Ma le sorprese non finiscono. Nel Decreto Rilancio all’articolo 180 vi è anche la depenalizzazione dei reati per gli albergatori che incassano la tassa di soggiorno dei propri clienti evitando di versarla, come previsto, ai Comuni di appartenenza. Il reato da penale diventa solo amministrativo: “l’albergatore, cita l’articolo del Dl, dovrà pagare una sanzione amministrativa”.
Ma cosa c’entra il Decreto Rilancio con la questione delle tasse di soggiorno e gli albergatori? Ops…ammetto, ci ho pensato solo un nanosecondo ma lo avrà fatto anche Nicola Porro su il Giornale dove ha dedicato un editoriale sull’argomento.
Non è un caso che il padre della compagna del nostro premier Giuseppe Conte, possiede uno dei più prestigiosi hotel nella Capitale ed è stato condannato per peculato, dopo patteggiamento, perché, secondo la procura di Roma, avrebbe intascato tra il 2014 e il 2018 circa due milioni di euro dai propri clienti senza girarli al Comune. Non ho parole…!