Attacchi con armi di distruzione contro civili e le infrastrutture, unitamente all’assenza di adeguati e continui corridoi umanitari, rendono il conflitto in Ucraina una grave emergenza umanitaria ormai in seno all’Europa.
(di Vincenzo Gaglione) Il 24 febbraio 2022, con una invasione ad opera delle forze armate russe, preceduta invero già nei primi mesi del 2021 da un graduale raggruppamento di truppe e da periodiche esercitazioni operative a confine, e drammaticamente scoppiato il conflitto in Ucraina.
Giorni prima, mediante una dichiarazione pubblica, Vladimir Putin aveva di fatto annesso alcuni territori oltre il confine russo, formalmente riconoscendo le Repubbliche Popolari del Donetck e del Lugansk che nel frattempo si erano autoproclamate sovrane, pur insistendo nella regione del Donbass, ossia all’interno della nazione Ucraina.
Già dal 2014 le truppe russe ed ucraine si fronteggiavano in un conflitto che, seppur definito “a bassa intensità”, nell’arco degli anni aveva causato oltre 14.000 morti e decine di migliaia di feriti, incentivando di molto anche un fenomeno migratorio.
Il 21 febbraio 2022 la Russia ha dunque inviato le sue truppe armate nei due neo Paesi, violando in modo conclamato il Memorandum di Budapest del 5 dicembre 1994, un accordo internazionale mediante il quale l’Ucraina accettava di non proliferare le armi nucleari e di consegnare 1900 testate nucleari alla potenza confinante per il relativo smaltimento nei successivi due anni, in cambio di garanzie dalla stessa Russia, ma anche dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, e successivamente anche da Cina e Francia, riguardo la sua sicurezza, l’indipendenza e l’integrità territoriale.
Durante tutto l’anno trascorso, i media russi in svariate occasioni avevano annunciato una imminente invasione dell’Ucraina, ma venivano sempre smentiti dagli organi autoritativi di comunicazione.
Con un breve video messaggio, quindi, Vladimir Putin ex abrupto ha comunicato l’attacco militare all’Ucraina e da quel giorno le città continuano ad essere bombardate, i civili muoiono copiosi mentre i negoziati, avviati dopo lo scoppio del conflitto, sono lontani dal raggiungere un esito risolutivo e l’emergenza sanitaria sta assumendo proporzioni inimmaginate. Se è vero che il presidente Putin reclama quei territori dichiarando di voler proteggere le minoranze etniche russe che vivono in Ucraina, di contro va ribadito che i confini territoriali di una nazione non dipendono dalla presenza interna di popolazione diversa, perché altrimenti molti paesi sarebbero in guerra e l’Italia in primis, per esempio, con riferimento ai territori altoatesini a prevalenza lingua tedesca, al confine con l’Austria.
Ad ogni buon conto, eventuali controversie sull’annessione o sulla cessione di territori tra paesi sovrani vanno risolte con le prescritte procedure diplomatiche e giammai con un’aggressione armata che causa la morte di migliaia di persone inermi e la distruzione di beni civili e di patrimoni culturali.
Và anche ricordato che dopo la dissoluzione dell’URSS del 1991, oltre 25 milioni di persone di etnia e lingua russa hanno continuato a vivere nelle 14 disciolte ex Repubblica sovietiche, in territorio al di là dei territori russi, per cui, con la medesima logica geopolitica dichiarata da Putin, la Russia sarebbe per così dire legittimata ad invadere altre nazioni poste al suo confine.
Peraltro, l’idioma ucraino, sopravvissuto ad anni di dissuasione sovietica e periodiche proibizione di autorità, somiglia molto al russo, sebbene abbia anche radici slave, è accertato venga utilizzato come prima lingua dal 67% della popolazione, mentre la lingua russa viene usata dal residuo 29%, nonostante tutti gli ucraini la conoscano bene.
Il legame degli ucraini con la propria terra e viscerale, materno. C’è chi non se n’è mai andato e chi proprio nell’ora più buia è tornato, perché la Terra è come la madre e questo è il momento in cui va protetta ed amata, non lasciata sola. A seconda delle zone in cui ci si trova, la vita cambia molto. Le zone più colpite dai russi ovviamente sono una realtà a parte: l’essere e nulla vipera per parafrasare Jean Paul Sartre.
Tragica e la constatazione che, secondo le statistiche “Human Development Index“, l’Ucraina fosse già il paese più povero in Europa ed il 74° al Mondo, nonostante durante l’epoca zarista fosse conosciuta come “il Granaio d’Europa” e con la sua popolazione di 41 milioni di abitanti, almeno fino alla perdita della Crimea e del Donbass, si rivelasse l’ottavo Paese più popoloso al mondo.
Al momento, però l’Ucraina non è ancora un paese alleato della NATO, ancorché potrebbe sollecitare la sua decisione la sua adesione al patto atlantico ed all’UE proprio per fronteggiare l’attuale grave situazione di guerra, facendone conseguire una reazione armata difensivo-collettiva sul suo territorio, ai sensi del ben noto Art. 5 del Trattato.
Il pericolo di un conflitto internazionale di ben più gravi dimensioni sarebbe allora dietro l’angolo, con più di 3 mln di rifugiati già fuggiti in altri paesi e milioni di persone internamente sfollate.
La Croce Rossa Internazionale e l’Agenzia ONU per i Rifugiati informano quotidianamente sulle condizioni drammatiche in cui i civili e fra essi le categorie più fragili quali donne, bambini e anziani, sono costretti a sopravvivere ai continui attacchi.
Ancora più di 10 milioni di persone sono costrette a rimanere nelle aree più duramente colpite all’interno del Paese e hanno urgente bisogno di assistenza umanitaria e protezione perché i servizi fondamentali, quali energia elettrica e trasporti, sono stati soppressi e mancano beni di primissima necessità quali cibo, acqua, e medicine.
Secondo il diritto internazionale umanitario i civili non dovrebbero mai subire gli effetti di un conflitto armato ed il rispetto delle norme a loro tutela e protezione viene invocato a viva voce da tutte le organizzazioni internazionali, con formali reclami affinché le frontiere restino aperte per consentire la fuga e l’asilo fuori dai territori ucraini, continuamente ed indistintamente bombardati.
A titolo di esempio, si segnala che dalla sola stazione ferroviaria della città di Odessa, ogni giorno, transitano da 600 a 800 persone in fuga verso le regioni dell’ovest Ucraina.
Nell’est della Regione le condizioni umanitarie sono ancora più emergenziali, con più di 200.000 persone senza acqua nella regione del Donetsk, e l’80% dei territori urbani completamente distrutti a Luhansk, e quasi 100.000 famiglie senza casa e senza energia elettrica.
In questo panorama così spaventoso, va evidenziato che le donne e i minori che rappresentano il 90% dei civili in fuga dalla Ucraina verso i Paesi limitrofi, per lo più transitando in Polonia dalla quale si spostano anche verso l’Italia.
L’Ucraina è a noi più vicina della distanza che passa fra Trieste e Palermo.
Concreto e verosimile il rischio che queste categorie così vulnerabili possano cadere vittime di gravissimi fenomeni criminali transfrontalieri, quali la tratta di esseri umani, gli abusi sessuali e lavorativi e lo sfruttamento a vario titolo, anche e soprattutto dei minori.
A tal proposito, già conosciamo purtroppo i drammatici resoconti di chi fugge da altri conflitti, transitando per il deserto dell’Africa subsahariana verso gli orrori della Libia.
L’Agenzia UNHCR ha inviato in Ucraina, ma anche in Polonia, Moldavia, Ungheria e Romania dei team di coordinatori delle attività di protezione da abusi e sfruttamento sessuale (PSEA), oltre ad esperti di protezione contro violenze di genere e crimini contro i minori, progettando una logistica di collegamento fra tutti gli attori in campo della protezione umanitaria e le autorità nazionali allo scopo di garantire una risposta valida ed efficace.
All’indomani dell’inizio delle ostilità, per arginare il dramma annunciato dei civili coinvolti nel conflitto, UNHCR e UNICEF hanno istituito i cosiddetti “Blue Dots” (Punti blu) in sei Nazioni (Repubblica Ceca, Ungheria, Moldavia, Polonia, Romania e Slovacchia) così come altri paesi europei hanno dato da subito ampia disponibilità, allestendo spazi neutrali e sicuri per la distribuzione di beni essenziali e servizi di protezione a minori, famigli e altre categorie fragili, agevolando il riscontro fattivo dei bisogni personali ed omogeneizzando così l’offerta dei vari partner coinvolti.
I “Blue dots” si rivelano imprescindibili per una strategia di assistenza nell’emergenza e rappresentano una forma efficace di cooperazione, anche fra settori diversi come quello prettamente civile, composta da ONG e altre realtà istituzionali, e le forze armate straniere, spesso inviate in teatro di conflitto in operazioni di peace supporting.
Così le ONG, la Croce Rossa Internazionale, tutte le strutture istituzionali coinvolte e non, collaborano per lenire le sofferenze dei più esposti in un contesto bellico: si continuano creare e gestire centri di assistenza, trasporti umanitari una capillare distribuzione di beni di prima necessità in punti di prima assistenza, beni di prima necessità tenendo così sotto controllo la necessità umanitarie nelle vicinanze dei valichi di frontiere ucraini, dove si raccolgono e transitano migliaia di rifugiati.
In contingenze tragiche come quella attuale, così come in contesti di guerra che da anni attanagliano il panorama geopolitico internazionale, tutta l’Umanità non deve perdersi ma al contrario deve reclamarsi, stringendosi attorno a chi ha più bisogno.