(di Pasquale Preziosa) Secondo alcuni analisti americani la Sicurezza Nazionale dell’Afghanistan è peggiorata ulteriormente da quando la NATO, nel 2014, ha ridotto la sua presenza sul terreno e non ha consentito alle forze di sicurezza afgane di raggiungere i livelli di addestramento previsti dai piani USA.
Non è così, questo è solo un modo poco “sopraffine” per allontanare la responsabilità da chi ne detiene l’autorità.
Le ragioni, quelle vere, vanno ricercate attraverso l’analisi storica di tutti gli eventi e decisioni strategiche che hanno interessato quel martoriato Paese.
Il livello di Sicurezza Nazionale dell’Afghanistan non è mai dipeso dai livelli di presenza della NATO in quel teatro sia perché la componente militare NATO è stata sempre, di dimensioni di molto ridotte, ancillare rispetto alla componente USA, sia in quanto le scelte strategiche e i punti di caduta di tale strategia sono state elaborate dagli USA e illustrate agli alleati per la condivisione delle parti sostenibili sotto il profilo politico, economico e legale.
Il 21 agosto scorso il presidente Trump ha affermato che l’Afghanistan doveva prendere più responsabilità per la guerra e per il suo futuro.
Nello stesso discorso il presidente americano ha sottolineato che l’India sarà il Paese partner degli USA nell’Asia del Sud.
I discorsi ufficiali vanno epurati dalla consueta retorica per esaminare gli aspetti salienti geopolitici d’interesse.
Il primo aspetto che emerge dall’esame del discorso del presidente è l’indicazione di chi deve essere responsabile della conflittualità in Afghanistan e non della risoluzione della conflittualità, lasciando così intravedere un probabile allontanamento del supporto militare della coalizione all’attuale governo di quel Paese.
Con queste premesse, sono continuati i colloqui di Doha con i Talebani, dove lo Special Assistent per l’Asia Meridionale, l’ambasciatore statunitense Zalmay Khalilzad, sta negoziando le condizioni per il passaggio del Paese nelle mani talebane.
In sintesi, tali negoziazioni possono riassumersi nei seguenti punti: attenersi alla Costituzione vigente nel Paese, non concedere basi di addestramento per terroristi e combattere le formazioni ISIS presenti .
La negoziazione oggi in corso, da parte degli USA con la parte talebana, è giunta quasi a conclusione, purtroppo nel momento di “minore presenza scenica militare” in Afghanistan.
Ricordiamo che nel 2011 vi erano 100.000 soldati USA, 10.000 britannici e 30.000 soldati NATO oltre ai contractor americani, tali forze non furono sufficienti, per sconfiggere i Talebani e Al Qaeda.
Oggi, con le truppe occidentali sul terreno ridotte al lumicino, la possibilità che siano le forze afghane da noi addestrate a sconfiggere i Talebani è pura fantasia, anzi c’è da chiedersi con quale spirito oggi i soldati afghani possano combattere i Talebani se, nel breve periodo, gli americani e alleati lasceranno l’Afghanistan nelle loro mani, ”Afghanistan under the Taliban had been a brutal theocracy” ha affermato il gen. Tommy Franks (Centcom Commander fino al 2003) nei suoi scritti e nulla è cambiato da allora.
Ancora una volta il piano strategico per l’Afghanistan è nelle mani USA e non nelle decisioni della NATO, così come è naturale che sia.
Esaminiamo ora, qualche data importante di questi 18 anni trascorsi dalla coalizione in Afghanistan, per verificare l’esistenza di falle strategiche nella conduzione delle operazioni…
Quando le truppe USA sono intervenute nel 2001 in Afghanistan, vi erano i Talebani che governavano il Paese, che avevano dato ospitalità al terrorismo di Al Qaeda di Osama bin Laden e l’Afghanistan era il primo produttore mondiale di Marihuana.
Gli obiettivi all’epoca stabiliti furono: eliminazione sia dei Talebani sia dell’organizzazione di Al Qaeda, eradicare le coltivazioni di oppio, liberare le donne, rinnovare il paese in senso democratico, in modo tale che non potesse più costituire pericolo per l’umanità; gli USA proclamarono, la “Global war on terrorism”.
I livelli di ambizione stabiliti per l’Afghanistan, sull’onda dell’emozione dell’11 Settembre furono molto elevati, come pure gli stanziamenti di bilancio per i finanziamenti sia del Paese e sia delle operazioni militari.
Anche la partecipazione delle singole nazioni per il supporto alle operazioni USA raggiunse il considerevole numero di 53 Paesi, e la NATO per la prima volta nella sua storia (che è anche la nostra storia) in esito all’atto terroristico dell’11 Settembre, invocò il 2 Ott. 2001 l’Articolo V del Patto Atlantico, che statuisce che un attacco armato contro uno o più membri dell’Alleanza deve essere considerato come un attacco contro tutti i paesi dell’Alleanza stessa.
Nel 2003 gli USA ridussero, di molto, le truppe in Afghanistan per poter invadere l’Irak, senza attendere il completamento dell’opera iniziata in Afghanistan: Bush già nel 2002 parlò di asse del male e Stati canaglia, quali Irak, Iran e Corea del Nord.
L’apertura di due fronti di guerra, purtroppo con le stesse quantità di forze USA presenti in quell’area operativa, comportò la necessità di alimentare l’Irak non con nuove forze militari (170.000 unità), ma a scapito delle unità combattenti in Afghanistan.
L’assenza di sufficienti forze militari sul terreno afghano, già dal 2003, consentì ai talebani di risorgere e di iniziare la riconquista graduale del territorio perduto.
I pochi rinforzi USA poi inviati dal 2009, dopo 6 anni di assenza, poco hanno potuto fare per conquistare quanto riguadagnato dai talebani,
I nuovi rinforzi del 2011, conseguenti al nuovo cambio di focus USA dall’Iraq all’Afghanistan, con ritiro delle truppe dall’Iraq e riposizionamento in Afghanistan, sono risultati inefficaci per eliminare tutte le metastasi terroristiche e criminali sviluppatesi a partire dal 2003 con il primo cambio di focus operativo(strabismo strategico) USA dall’Afghanistan all’Iraq.
La situazione terroristica si è ulteriormente complicata col ritiro delle truppe USA dall’IRAQ, che ha visto la gemmazione di una ulteriore organizzazione terroristica: l’ISIS che ha interessato anche l’Afghanistan, aggravando il già critico livello di sicurezza del Paese.
Pertanto, i problemi attuali di insicurezza dell’Afghanistan sono solo la conseguenza delle decisioni prese nel lontano 2003 dagli USA, che decisero la rilevante riduzione delle forze militari sul terreno, che non seppero consolidare e stabilizzare i risultati raggiunti con la vittoria raggiunta con l’invasione iniziata il 7 ottobre 2001.
Il secondo punto del discorso del presidente ha riguardato la partnership americana con l’India in Asia.
Non ci sono molti approfondimenti strategici da fare su questo argomento: la scelta dell’India da parte USA, automaticamente fa decadere il supporto strategico e operativo del Pakistan per le operazioni in Afghanistan, spinge il Pakistan nell’orbita cinese, russa, e per certi versi anche iraniana.
La lettura congiunta dei due punti toccati dal presidente USA, evidenzia quindi profondi cambiamenti geopolitici, in altre parole: l’Afghanistan e il terrorismo, ridimensionati nelle loro aspirazioni rivoluzionarie, avranno una minore priorità nel nuovo ciclo geopolitico, rispetto all’elemento nuovo che era all’orizzonte ma ora si è consolidato, la Cina.
Gli USA e di conseguenza la Cina, hanno già individuato i nuovi paesi alleati per i prossimi confronti geostrategici.
Tali confronti, nelle fasi iniziali non saranno paragonabili alla “guerra fredda” perché sono cambiati i presupposti che svilupparono tale guerra, Michael McFaul propone di chiamarla Hot Peace.
Vedremo nel prossimo futuro come si consoliderà questo confronto tra l’ulteriore espansionismo economico e commerciale cinese e la risposta USA, legata sia alla “Trade War with the world”, sia alla politica di contenimento dell’espansionismo cinese.
Questo nuovo confronto nasce nell’era digitale e sarà caratterizzato dal nuovo dominio cyber con il “commercio di informazioni”.
Secondo alcuni studiosi, il dominio del cyberspazio sarà il fattore chiave per acquisire potere nel futuro.
L’Afghanistan di oggi, quindi, è immerso in un quadro geopolitico differente rispetto a quello di 18 anni fa per tre ordini di ragioni: la fine del ciclo terroristico legato alle religioni, l’interesse della Cina alla stabilizzazione dell’Afghanistan per convenienza nazionale e la raggiunta “dominance” degli USA nel campo energetico grazie alle grandi riserve di “shale oil” individuate sul proprio territorio.
David Rapoport, nei suoi studi sulle ondate terroristiche che hanno caratterizzato la nostra storia (quattro), ha previsto il termine o meglio l’attenuazione di questo ciclo, iniziato nel 1979, nel non lontano 2025, con la nascita di un nuovo ciclo di diversa tipologia e non in Afghanistan.
La Cina affermatasi come grande potenza, ha interesse, oggi più di ieri, alla stabilizzazione dell’Afghanistan per ragioni economiche, strategiche e di sicurezza interna (Limes); nello Xinjiang “è già in corso una dura campagna antiterrorismo per arginare le frange estremiste di etnia uigura, minoranza musulmana e turcofona.”
Inoltre, la tutela dei progetti infrastrutturali lungo la rotta della nuova via della seta, richiede un Afghanistan più stabile.
Infine, l’Afghanistan pur non avendo petrolio, è importante per il trasporto del petrolio del Mar Caspio verso i mari caldi pakistani attraverso il passo di montagna obbligato del Khyber, parte della vecchia via della seta, punto di passaggio tra l’Asia Centrale e Meridionale: l’interesse USA per il passaggio delle risorse energetiche attraverso l’Afghanistan si è affievolito per il raggiungimento dello status di “dominance” nel settore energetico grazie allo “shale oil and gas” scoperto nel proprio territorio.
Gli USA quindi, hanno valutato, non conveniente rimanere nell’area afghana, che oggi presenta un rischio terroristico più basso rispetto al 2001, in un quadro di priorizzazione delle risorse (Resource Triangle).
Sotto il profilo geostrategico, ”Pechino vuole stringere a sé Kabul per erodere la sfera d’influenza dell’India” (Limes).
L’Afghanistan, col ritiro degli USA dal teatro nei prossimi anni, si preparerà per entrare in una possibile orbita cinese col supporto del Pakistan, acerrima nemica dell’India che a sua volta non è buona amica della Cina.
Con buona pace degli analisti USA, la NATO ha operato come alleato di valore al fianco degli USA sopportando costi e pagando con vite umane il proprio contributo, come pure l’Italia, senza però alcuna influenza sulle decisioni geostrategiche che sono state operate in autonomia dagli USA e senza grandi onori riconosciuti. Qualche volta nei conti dei costi di partecipazione all’Alleanza, aggiungiamo una riga in più, per considerare quanto fatto e pagato nei 18 anni dagli Alleati e dall’Italia come contributo nazionale per la nostra sicurezza collettiva ed evitiamo di addossare ad altri le proprie responsabilità.