(di Andrea Pinto) L’invasione della Georgia nel 2008, l’annessione della Crimea nel 2014, gli interventi “di pace” in Nagorno-Karabakh nel 2021 e in Kazakistan a gennaio di quest’anno, l’intervento in Siria nel 2015 a sostegno di Bashar Assad, in Libia nel 2017 a protezione di Khalifa Haftar e i mercenari della Wagner disseminati dalla Cirenaica al Mali fino al Centrafrica, così da circa dieci anni Putin vuole ristabilire l’estensione territoriale ed il potere dell’ex Urss.
Un alto funzionario della Nato ha detto di recente che Putin “adopera lo strumento militare con rapidità ed efficacia al fine di essere presente ovunque possibile per riassegnare alla Russia un ruolo strategico globale come era ai tempi dell’Urss”. La nuova dottrina prevede al Cremlino una catena di comando molto corta basata sull’intesa, politica e personale, di Putin con il ministro degli Esteri Sergei Lavrov e il capo delle forze armate, generale Valery Gerasimov.
La Dottrina Gerasimov
Nel febbraio 2013, il generale Valery Gerasimov ha pubblicato un articolo di 2.000 parole, “The Value of Science Is in the Foresight”, dove ha spiegato le tattiche sviluppate dai sovietici, le ha mescolate con il pensiero militare strategico sulla guerra totale e ha presentato una nuova teoria della guerra moderna, ovvero hackerare la società di un nemico piuttosto che attaccarla frontalmente. Ha scritto: “Le stesse ‘regole di guerra’ sono cambiate. Il ruolo dei mezzi non militari per raggiungere obiettivi politici e strategici è cresciuto e, in molti casi, hanno superato il potere della forza delle armi nella loro efficacia. Tutto questo è integrato da mezzi militari di carattere occulto”.
L’articolo è considerato da molti come la nuova dottrina militare russa, una visione di guerra totale che colloca politica e guerra all’interno dello stesso spettro di attività. L’approccio è la guerriglia e si muove su tutti i fronti con una serie di attori e strumenti, ad esempio hacker, media, uomini d’affari, fughe di notizie e, sì, notizie false, nonché mezzi militari convenzionali e asimmetrici. Grazie a Internet e ai social media, il tipo di operazioni su cui un tempo le squadre di operazioni psichiche sovietiche potevano solo fantasticare – ribaltare gli affari interni delle nazioni solo con le informazioni – ora sono plausibili. La Dottrina Gerasimov afferma che le tattiche non militari non sono ausiliarie all’uso della forza, ma il modo preferito per vincere. Il caos è la strategia perseguita dal Cremlino: Gerasimov specifica che l’obiettivo è realizzare un ambiente di disordini e conflitti permanenti all’interno di uno stato nemico.
Nella crisi ucraina la Dottrina Gerasimov sta trovando la sua massima espressione
Durante le proteste del 2014 il Cremlino ha sostenuto gli estremisti di entrambe le parti della lotta – forze filo-russe e ultranazionalisti ucraini – alimentando il conflitto che il Cremlino ha usato come pretesto per impadronirsi della Crimea e lanciare la guerra nell’Ucraina orientale. Aggiungi una forte dose di guerra dell’informazione e questo ambiente confuso – in cui nessuno è sicuro delle motivazioni di nessuno – il Cremlino può facilmente esercitare il controllo. Questa è la Dottrina Gerasimov sul campo.
Oggi, sono quasi 140 mila i soldati con artiglieria e carri armati schierati ai confini di Kiev con il chiaro intento di sfidare apertamente il mondo Occidentale e porre dubbi sulla sicurezza in Europa Orientale. Non è un caso che i vari Paesi membri della Nato stanno cercando interlocuzioni solitarie con Putin, non si muovono insieme, ognuno cerca di mantenere intatti i propri interessi con la Russia, che vanno da quelli energetici al miliardario interscambio commerciale.
Putin starebbe, quindi, attuando il “Divide et Impera” per indebolire l’Alleanza Atlantica e soprattutto il nemico di sempre, gli Stati Uniti.
Tornando all’Ucraina, scrive Molinari su Corsera, la modalità di gestione della crisi in Ucraina da parte di Mosca dimostra che la prova di forza militare verso il fiume Dnepr si accompagna ad una raffica di mosse diplomatiche tese ad innescare dialoghi separati con i maggiori Paesi Nato ovvero Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania. Se Gerasimov è il determinato regista dell’assedio navale e terrestre a Kiev, Lavrov è il raffinato architetto di una parallela offensiva negoziale il cui fine non sembra tanto arrivare ad un’intesa quanto portare il subbuglio nel fronte avverso. Ed è un approccio che sta pagando perché da un lato Mosca tratta con Washington — con tanto di documenti scritti su armamenti, esercitazioni e assetti futuri — mentre dall’altro bacchetta Londra in maniera assai colorita, corteggia Parigi per stimolarne le ambizioni e si giova delle evidenti differenze di opinione nel nuovo governo tedesco. Insinuando con efficacia negli europei il dubbio che l’Ucraina sia in realtà al centro di una sfida sulle forniture di gas al Continente, con Washington che vuole ostacolare quelle di Mosca.
Il duello fra Putin e la Nato, precisa Molinari, è dunque una sfida ibrida, dove armamenti e diplomazia sono tasselli di un unico mosaico, assieme all’uso di hacker e social network su entrambi i fronti. È una strategia che il generale Valery Gerasimov nel 2019 illustrò con estrema chiarezza, spiegando come la Russia aveva bisogno di una nuova dottrina per “evolvere da attrito e distruzione a conflitto globale e soft power” al fine di poter rispondere alla sfida degli Stati Uniti. Da qui la necessità di accompagnare la più tradizionale attività militare con azioni di “difesa attiva” ma “indirette” perché tese ad indebolire l’avversario con ogni sorta di altri mezzi, dalle operazioni elettroniche alla diplomazia più classica.
Anche gli Usa stanno usando mezzi ibridi per contrastare i russi, utilizzando le informazioni di intelligence molto dettagliate con cui da almeno due mesi il Pentagono anticipa le mosse del Cremlino sull’Ucraina.