Il consiglio presidenziale guidato da al- Sarraj ha incaricato la Forza anti-terrorismo di Misurata, guidata dal generale Mohammed Al Zein, di entrare nella capitale per imporre con la forza un nuovo cessate il fuoco. Nella notte un primo convoglio di 300 veicoli, pick-up e blindati, ha fatto il suo ingresso nella capitale, seguito da altri 300 mezzi tra cui cingolati. Si sono insediati attorno all’aeroporto internazionale di Mitiga, 8 km ad Est dal centro di Tripoli, cercando di riattivare lo scalo e pronti a convergere verso Sud in caso di necessità. Pressoché immediato il ripiegamento della Settima brigata di Tarhuna, da alcune zone del Sud della capitale conquistate ieri e negli scontri dei giorni scorsi che hanno causato la morte di almeno 47 persone. Il ripiegamento è avvenuto anche dinanzi all’incalzare delle Forze di deterrenza (Rada) che fanno capo al governo di accordo nazionale (Una) nella zona di al Khala e aWadi al Rabia, sempre nella parte Sud della capitale. Il mandato conferito alla forza anti-terrorismo è quello di “sorvegliare le zone di cessate il fuoco, il disimpegno a Sud di Tripoli, e procedere a una transizione di poteri per il controllo del territorio alle forze militari regolari entro il 30 settembre”.
Mentre i media tradizionali solo da ieri stanno trattando la questione degli scontri in Libia in Francia il governo Emmanuel Macron e il ministro degli Esteri Jean-Yves Le Drian puntano ad organizzare entro il 10 dicembre elezioni nazionali in Libia.
Così il ministero degli esteri francese, “la situazione non è semplice, ma se si attendono le condizioni ideali per le elezioni, queste non si faranno mai. Più si aspetta e peggio è”.
I diplomatici francesi pensano che gli impegni presi a Parigi debbano essere rispettati e credono alla mediazione a Tripoli di Ghassan Salame, inviato dell’Onu. Sempre gli Esteri francesi sostengono che “esiste tra le diplomazie di Parigi e Roma una collaborazione stretta e costante sulla Libia. E questo nonostante le uscite teatrali di qualche ministro dell’attuale governo italiano. Non esiste lì una lotta di leadership fra Italia e Francia, tanto meno in un momento come questo”.
Il quotidiano La Stampa riporta il parere di due professori universitari francesi, esperti sul dossier libico.
Jalel Harchaoui, ricercatore e specialista della Libia, non la pensa allo stesso modo. “Non credo che le due diplomazie si parlino così tanto. Italia e Francia e anche altri Paesi stranieri considerano la Libia come un loro terreno di gioco”. Harchaoui non arriva ad accusare la Francia di avere scatenato, insistendo per l’organizzazione delle elezioni, gli scontri attuali tra le milizie nella zona di Tripoli, “ma di certo quell’atteggiamento ha reso l’atmosfera ancora più elettrica”. Macron e Le Drian stanno andando avanti, malgrado tutto. Il ministro degli Esteri Le Drian a luglio si era recato sul posto, incontrando una raffica di interlocutori. “Ci sono capi di tante milizie – continua Harchaoui -, personaggidavvero poco trasparenti, prossimi alla delinquenza, che hanno avuto contatti con emissari francesi e soprattutto con quelli degli Emirati Arabi Uniti, molto vicini a Parigi. In questo modo si sono sentiti più importanti, diventando ancora più arroganti. Sono alcuni di quelli che hanno scatenato gli ultimi scontri”. Per il ricercatore “i francesi, credendo a quella tranquillità apparente, che ha prevalso per diciotto mesi a Tripoli. La situazione invece prima o poi degenera sia sul fronte migratorio che su quello dell’estrazione del petrolio, a rimetterci più che la Francia sarà l’Italia, che si trova geograficamente in prima linea e che, nel campo degli idrocarburi, ha una presenza molto più forte sul posto mediante Eni rispetto a quella francese con Total”.
Un altro esperto, molto vicino al dossier libico, e che vuole restare anonimo, sottolinea il rapporto privilegiato di Parigi con Haftar“che considera l’unico capace di sconfiggere l’Isis e più in generale gli integralisti islamici nel Paese. Se i francesi si pongono come super partes nella vicenda, scommettono in realtà sulla vittoria nelle eventuali elezioni di un candidato vicino ad Haftar”. La stessa fonte critica “l’approccio dall’alto dei francesi, che vogliono negoziare con i presunti leader e trattare soprattutto con uno come Haftar, che ha un esercito efficiente.
Gli italiani invece hanno sfruttato una vera conoscenza del terreno, anche perché, a differenza dei francesi, hanno un’ambasciata aperta. Sono andati a vedere i rappresentanti dei singoli villaggi, facendo concessioni e fornendo aiuti in maniera più o meno trasparente”.