Centinaia i giornali on line che inneggiano alla guerra santa istruendo i lupi solitari in tutto il mondo. Un momento favorevole per via della della scarsa attenzione dei governi alle prese con le misure di contrasto alla pandemia da Covid-19.

(di Andrea Pinto) La guerra santa la jihad non ha risentito delle restrizioni dovute alla pandemia, anzi secondo un’inchiesta di Panorama il momento è particolarmente favorevole per il proselitismo. La gente è costretta a stare in casa ed ha più tempo per studiare e leggere notizie e istruzioni dai giornali online, dai social media. In un mondo dove in rete girano miliardi di news al secondo è davvero difficile per le forze di polizia e di intelligence scovare, per tempo, messaggi e ordini mandati in rete in maniera massiva ed estremamente pervasiva. Il mondo della jihad non è affatto dormiente e moltiplica la sua capacità di recapitare articoli che istigano a spargere sangue in nome di un «bene più alto», l’avvento del regno di Allah sulla Terra. 

Gli jihadisti, scrive Panorama, in passato hanno pubblicato magazine cartacei diventati famosi e oggi chiusi, censurati dalla rete. Inspire per esempio, che nel 2010 promosse la svolta della «jihad open source»: ciascuno poteva diventare attentatore in autonomia seguendo poche semplici istruzioni. Costruire ordigni usando una pentola a pressione, noleggiare un’auto e investire le persone, far saltare in aria gli edifici. Oppure Dabiq, che pubblicò un manifesto inneggiante allo scontro di civiltà e influenzò Mohamed Lahouaiej Bouhlel nel compiere la strage di Nizza del 2016. 

Questi  giornali oggi per fortuna sono stati chiusi. Le parole della jihad però sono tornate in varie altre  pubblicazioni e si diffondono grazie ai pc e ai social. «Innanzi tutto i giornali chiusi anni fa si trovano ancora facilmente sui social o nel deep web, se vuoi davvero cercarli come lo vuole chi sente l’attrazione della jihad» dice a Panorama Jonathan Matusitz, docente presso la Central Florida University che aggiunge: «Quelle parole non hanno una durata come accade per i quotidiani occidentali. Sia perché contengono istruzioni ancora valide su come costruire bombe, sgozzare o investire la gente sia perché l’ideologia è ancora quella: convincere la comunità islamica globale, la cosiddetta Ummah, a partecipare alla jihad. Se sei un vero musulmano, sostengono, sei obbligato a commettere atti terroristici contro gli infedeli e contro coloro che vengono definiti “apostati”, cioè gli islamici moderati che ancora non uccidono in nome di Allah». 

Islam non significa pace. «Infatti, si traduce con “sottomissione”» ricorda Matusitz, «quella dei musulmani ad Allah e quella dei non musulmani ai musulmani, per un nuovo ordine mondiale che obbedisca alla sharia, la legge sacra islamica». 

Ci sono anche giornali non proprio pubblicati da organizzazioni jihadiste ma da altre entità, spiegano a Panorama i ricercatori del Middle East Media Research Institute – Memri – Tipo  Al-Naba, il settimanale ufficiale dello Stato islamico, creato dal suo “Central media bureau”, oppure Sumoud, mensile dei talebani. Come mensile è anche la testata dei sostenitori dell’Isis in Kashmir: Saura al-Hind». Ricordiamo ancora Mujalla Tehreeke-Taliban Pakistan, o Al Risalah, Al Fath e soprattutto Onn Ummah, il magazine ufficiale di Al-Qaeda che in settembre aveva minacciato di punire chiunque mostrasse nuovamente le vignette di Charlie Hebdo. 

Un’altra pubblicazione di successo è Gaidi Mtaani, composto e diffuso dalle menti di Al Shabaab, gruppo terrorista molto attivo in Somalia e Kenya. Tra i giornali non ufficiali il più recente è Wolves of Manhattan, edito dal gruppo qaedista Jaysh Al-Malahem Al-Electroni, e Balagh, mensile pubblicato in Siria. 

Il più delle volte questi giornali hanno  anche una parte dedicata alla pratica: «Pubblicano un po’ di manuali fai-da-te: navigare su internet senza farsi individuare, sfuggire ai droni, dare fuoco ad auto e foreste dove si trovano abitazioni, costruire ordigni»

I giornali on line sono sempre più utilizzati dai gruppi terroristici perchè non costano molto anche se i fondi per la propaganda non mancano. Fondi possono arrivare dal Qatar e dal contrabbando di petrolio, dal traffico di esseri umani e da donazioni private fatte da simpatizzanti. 

Il professore Matusitz spiega che i seguaci, “Scaricano i giornali e si chiudono in casa a leggerli e rileggerli finché non c’è un auto-indottrinamento. Così si diventa lupi solitari: terroristi senza legami con alcuna organizzazione”. 

Solitari ma uniti in quella che è stata definita «jihadisfera», il mondo virtuale fatto di connessioni tecnologiche tra estremisti, ovunque essi siano: deep web, Twitter, addirittura TikTok, Element, Telegram. E circolano non solo articoli, ma anche video accurati e tutorial. L’informazione distorta parte da agenzie di stampa come Amaq News Agency, Thabat e Al Hayat media center, specializzato in video. È così che si arriva alla «nuova generazione di estremisti islamici votati a una jihad personale» come ha detto l’ex capo dell’intelligence francese commentando i sette attacchi terroristici che hanno scosso il Paese d’Oltralpe nel 2020. 

Sul piano dell’utilizzo della tecnologia si è compiuto un vero e proprio salto di qualità, «Copie di giornali o altri contenuti sono occultati in canali di riserva» dice a Panorama Raphael Gluck, cofondatore di Jihadoscope, organizzazione che monitora e documenta la diffusione del terrorismo on line e sui social network. «E tornano sempre a diffondersi, qualche volta raggiungendo i social media più famosi, come “Twitter o Facebook».

«Si suggerisce di compiere attentati nonostante il lockdown abbia svuotato le città dai turisti, perché il coronavirus distrae gli impianti di sicurezza» continua Gluck. Il recente giornale qaedista Wolves of Manhattan consiglia ai lettori di distribuire mascherine intrise di veleno. 

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L’articolo completo su Panorama rivela ulteriori interessantissimi dettagli sulla problematica.

Inchiesta di Panorama sulla Jihad: “Approfittano della pandemia per colpirci”