(di Giuseppe Paccione) Alcune settimane fa, dei gruppi paramilitari russi (la legione della libertà e il corpo dei volontari russi) hanno condotto un’incursione transfrontaliera dal territorio ucraino verso la regione russa di Belgorod. Dopo aver reso libero alcuni villaggi, pur se per un lasso di tempo molto breve, ubicati al confine, i combattenti sono stati costretti a ritirarsi ex novo verso il territorio dello Stato ucraino. Le autorità moscovite hanno definito tali gruppi dei veri e propri sabotatori e terroristi, che sono stati colpiti mortalmente durante un’operazione di antiterrorismo.
Kiev ha rimandato al mittente russo l’accusa di essere stata l’artefice di queste incursioni oltrefrontiera, asserendo che i raid sono stati messi in atto da cittadini o partigiani russi che avevano pianificato tali interventi in maniera autonoma e che il governo ucraino non ha mai avuto contatti con loro. Circa la condotta, attenendoci al Progetto sulla responsabilità dello Stato, va subito sottolineato che il comportamento di una persona o di un gruppo di persone sarà considerato un atto di uno Stato ai sensi del diritto internazionale se la persona o il gruppo di persone di fatto agiscono su istruzione, o sotto la direzione o il controllo di quello Stato nel porre in essere quel comportamento. La dichiarazione del portavoce, con molta probabilità, veniva intesa con lo scopo di prevenire qualsiasi attribuzione dei raids transfrontalieri di gruppi paramilitari russi all’Ucraina, nel senso che “le autorità di Kiev vogliano dimostrare ai Paesi occidentali che lo supportano che non è intenzione dell’ucraina intensificare il conflitto aggredendo il territorio russo attraverso l’impiego di strumenti militari occidentali in quegli attacchi”.
Lo Stato ucraino, pur essendo vittima della condotta aggressiva manu militari della Russia, rientrerebbe nel contesto del diritto di colpire obiettivi militari presenti sul suolo russo, sino a dover occupare per un breve lasso di tempo tale territorio nell’esercizio del suo diritto naturale di difendersi, che potrebbe concretizzarlo direttamente con le proprie forze militari o indirettamente attraverso l’impiego di gruppi militari o paramilitari che siano sotto il suo controllo. Questi gruppi paramilitari russi hanno sede e operano in Ucraina; si stavano infiltrando nel territorio russo dalla loro base nella regione ucraina nord-orientale di Sunny, ottenendo informazioni e non solo, ma è stato dichiarato che non vi è stato alcun intervento del governo centrale ucraino, ma che stavano agendo per conto proprio con l’obiettivo di rovesciare il regime putiniano quale primo passo, punto che è stato confermato dai servizi segreti ucraini.
Chiaramente va precisato che nel caso in cui dovesse accertarsi che l’Ucraina fornisca armi e munizioni ai gruppi paramilitari russi ubicati sul proprio territorio, allora l’assistenza a tali gruppi andrebbe a scontrarsi con il principio del non ricorso alla forza, evocato dalla Carta delle Nazioni Unite e dalla Dichiarazione sulle relazioni amichevoli, in cui si evince che ogni Stato ha il dovere di astenersi dall’organizzare oppure dall’incoraggiare l’organizzazione di forze irregolari o di bande armate, in particolare bande di mercenari, per compiere incursioni nel territorio di un altro Stato, ma anche di rammentare che ogni Stato ha il dovere di astenersi dall’organizzare, incoraggiare, appoggiare o partecipare ad atti di guerra civile o di terrorismo nel territorio di un altro Stato, o dal tollerare sul proprio territorio attività organizzate al fine di perpetrare tali atti, quando gli atti menzionati nel presente paragrafo comportino la minaccia o l’uso della forza.
Il sostegno degli ucraini alle attività militari dei movimenti russi contro Putin rappresenterebbe una precisa e netta violazione del criterio del non intervento o ingerenza. Su tale principio, si è espressa la stessa Corte Internazionale di Giustizia nella ben nota sentenza sulle attività militari e paramilitari in e contro il Nicaragua, la quale ha posto in risalto che, nell’ambito del diritto internazionale, nel caso in cui uno Stato, in vista della coercizione manu militari di un altro Stato, fornisca assistenza e supporto a bande armate in quello Stato, il cui fine è quello di rovesciare il governo di quello Stato, ciò equivale ad un’ingerenza dell’uno nella domestic jurisdiction o affari interni dell’altro, a prescindere dalla questione che l’obiettivo politico dello Stato che, offre tale assistenza e supporto, sia di analoga portata.
Ergo, si può ritenere che l’eventuale supporto da parte delle autorità ucraine a favore dei movimenti paramilitari russi e alle loro incursioni oltre la frontiera costituirebbe una condotta internazionalmente non legittima. Il problema gira attorno al fatto se l’illeceità del comportamento sia preclusa da una circostanza che escluda l’illegittimità, a patto che rispetti quelli che sono gli elementi, enucleati nel capitolo V del Progetto di articoli sulla Responsabilità dello Stato, che vanno dal consenso, alla legittima difesa e via discorrendo.
Si potrebbe, tuttavia, asserire anche che l’illegittimità del sostegno del governo di Kiev alle incursioni transfrontaliere non è preclusa come contromisura in risposta alla condotta aggressiva illegittima di Mosca contro lo Stato ucraino. A prescindere la questione che le condizioni procedurali del ricorso a contromisure non sono state soddisfacenti, sebbene tali contromisure non pregiudicano il vincolo di astenersi dalla minaccia o dall’impiego dell’azione coercitiva di forza come evocato nella Carta onusiana. L’obbligo di non ricorrere allo jus ad bellum include l’adempimento vincolante di astenersi dal supportare gruppi organizzati di bande armate che hanno come obiettivo di fare incursioni nel territorio di un altro Stato.
Persino le altre circostanze che inibiscono l’illegittima, compresa l’eccezione di necessità, non appaiono applicabili visto che il divieto dell’azione coercitiva di forza rappresenta un esempio chiaro di una norma avente carattere di jus cogens. Secondo il Progetto sulla responsabilità dello Stato, nessuna disposizione esclude l’illiceità di ogni atto di uno Stato che non sia conforme a un vincolo derivante da una norma imperativa del diritto internazionale consuetudinario.
Ciononostante, il sostegno offerto dal governo ucraino ai gruppi paramilitari, che effettuano azioni di raids oltrefrontiera, potrebbe essere inquadrato nella legittimità come esercizio al diritto intrinseco di autotutela. Difatti, sempre quanto viene enunciato nel Progetto, si enuclea che l’illiceità di un atto di uno Stato è esclusa se l’atto costituisce una misura lecita di legittima difesa presa in conformità alla Carta delle Nazioni Unite. Tale atto non può essere considerato quale incursione transfrontaliero in sé per la mera ragione, a parere dei punti di vista degli attori coinvolti, che non può essere accollato allo Stato ucraino, piuttosto l’azione di uno Stato è l’assistenza ucraina a favore dei due gruppi russi che pongono in essere tali incursioni ai danni della Russia.
L’assistenza all’incursione nel territorio di un altro Stato da parte di bande paramilitari rappresenta di solito una chiara violazione del principio del non impiego della forza, sancito dalla Carta onusiana, ciò non vale qualora l’assistenza venga incorniciata nel quadro della legittima difesa, cioè a dire che uno Stato esercitante il suo diritto naturale alla legittima difesa non viola neppure potenzialmente la norma che inibisce il ricorso allo strumento militare o allo jus ad bellum.
Di certo, non si può non dire che gli ucraini stiano esercitando il loro diritto naturale a difendersi dall’aggressione russa iniziata il 24 febbraio 2022. Ora, il fatto che le autorità ucraine non abbiano adottato l’incursione stessa come condotta di legittima difesa, non le impedisce di poter reclamare il suo diritto di autotutelarsi rispetto ad altre condotte che sono legate all’incursione.
Mentre l’autotutela, stricto sensu, non funge come ombrello giustificativo circa le violazioni del criterio di non ricorrere allo jus ad bellum, evocato nella Carta di San Francisco, può motivare il non rispetto all’adempimento di ulteriori obblighi che sono collegati alla violazione di tale norma, nel senso che, durante la fase della legittima difesa, uno Stato può violare o disattendere altri obblighi nei riguardi dell’aggressore, come, a titolo di esempio, quello di sconfinare nel suo territorio, ingerire nei suoi affari interni et alias. Ergo, nella misura in cui il supporto ucraino ai movimenti di opposizione russi rappresenta anche una violazione del principio di non intervento, ciononostante ciò sarebbe cernierato dalla giustificazione del diritto di difendersi.
Ovviamente, va subito evidenziato che ogni misura di autodifesa deve rispettare i parametri della necessità e proporzionalità, per cui la legittima difesa viene circoscritta a misure che debbano avere come scopo quello di respingere l’attacco. I due parametri vanno applicati con riguardo alla misura effettivamente adottata, ovvero la fornitura di assistenza ai gruppi paramilitari russi che effettuano un raid transfrontaliero. L’obiettivo finale dei gruppi citati sopra è il rovesciamento dell’intero apparato governativo guidato da Putin, che non ha alcuna rilevanza a tal proposito. Anche se quest’ultimo non fosse necessario al fine di difendere lo Stato ucraino dall’aggressione delle forze militari di Mosca, le incursioni oltre frontiera hanno di certo uno scopo legittimo di autotutela che concerne l’allontanamento di forze armate russe dai principali campi di battaglia sul suolo ucraino, bloccando il nemico occupante e tagliando le vie di rifornimento, per cui si può ritenere che il supporto ai gruppi paramilitari russi antiputiniani corrisponde, pertanto, ad una necessità di potersi difendere, che rientri nel quadro dell’istituto della legittima difesa.
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È vero che a livello politico potrebbe essere stato non necessario approvare le incursioni transfrontaliere pianificate e messe in atto da parte di movimenti paramilitari russi come azioni di legittima difesa ucraina, ma giuridicamente l’assistenza offerta ai tali gruppi che bramano cacciare Putin e la sua enclave è coperta dal diritto naturale degli ucraini a difendersi. Nell’esercizio di tale diritto, evocato sempre dalla Carta delle Nazioni Unite, il governo ucraino può letteralmente portare o muovere guerra alla Federazione russa con proprie forze armate o approfittando delle forze paramilitari russe che lottano contro il governo del Cremlino.