Non sono serviti i numerosi appelli lanciati dalle principali organizzazioni che si occupano di diritti civili, Zeinab Sekaanvand, la donna iraniana di 24 anni arrestata nel 2011, quando aveva solo 17 anni, per aver ucciso l’uomo che era stata costretta a sposare a 15 anni e a subire abusi fisici e psicologici tanto da indurla poi a compiere il grave gesto.
In una nota redatta da Amnesty International si legge “Non solo Zeinab era minorenne al momento del reato, ma il processo era stato gravemente irregolare. Aveva avuto assistenza legale solo nelle fasi finali del procedimento, nel 2014, quando aveva ritrattato la confessione, resa a suo dire dopo che agenti di polizia l’avevano picchiata su ogni parte del corpo”.
L’Iran, unico Paese al mondo a mettere a morte minorenni al momento del reato, dal 2015 ha eseguito circa 90 esecuzioni del genere (di cui almeno 5 nel 2018) e nel braccio della morte restano in attesa dell’esecuzione almeno altri 80 minorenni al momento del reato.
Mahmood Amiry-Moghaddam, portavoce di Ihr, ha dichiarato che “L’esecuzione di Zeinab Sekanvand e le minacce di condanna a morte con il pretesto di combattere la corruzione non rispettano gli standard minimi di un giusto processo e devono essere condannate a livello internazionale, chiediamo in particolare ai Paesi europei che hanno un dialogo con l’Iran di condannare con fermezza queste condanne a morte ed esecuzioni illegali”.
La giovane Zeinab, lo scorso 29 settembre, era stata trasferita nel reparto ospedaliero della prigione di Urmia per essere sottoposta a un test di gravidanza, risultato poi negativo. I parenti hanno appreso che l’esecuzione sarebbe avvenuta il giorno dopo il primo ottobre data in cui la direzione della prigione aveva fissato l’ultima visita con i parenti.