Gli scontri di Tripoli di questi giorni hanno riguardato le milizie vicine al governo di Abdul Hamid Ddeibah, riconosciuto dall’Onu, e quelle vicine a Fathi Bashaga, premier riconosciuto dal parlamento stanziato a Tobruck, particolarmente vicino alla Russia. Ad avere la meglio sono state le prime, con Ddeibah che si è anche concesso, in segno di forza, un selfie nelle aree degli scontri. Il futuro per il Paese è sempre più incerto anche perchè gli spiragli per il dialogo si affievoliscono sempre più. Una situazione che non giova all’Italia per quanto riguarda il petrolio ed il controllo dei flussi migratori.
Il Copasir, al riguardo, ha lanciato l’allarme su una precisa strategia russa: “L’impegno della Russia in Libia rimane molto intenso – si legge infatti in un passaggio della relazione – in forza della presenza delle milizie del gruppo Wagner nella Cirenaica controllata dal generale Haftar”.
Le Monde ieri ha scritto sulla polveriera nel Mare Nostrum: le migrazioni nel Mediterraneo stanno restituendo all’Italia lo status di principale Paese “in prima linea”, status che la Spagna, sotto la pressione del Marocco, le aveva sottratto nel 2020.
Da gennaio alla prima settimana di agosto, 44.000 migranti e rifugiati provenienti dalla sponda sud del
Mediterraneo sono sbarcati nella penisola, principalmente sull’isola di Lampedusa che è ormai al collasso.
La curva di questi arrivi mostra un aumento del 40% rispetto al corrispondente periodo del 2021, secondo i dati compilati dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR).
L’Italia assorbe così quasi il 56% del flusso complessivo di migranti che attraversano il Mediterraneo per
raggiungere l’Europa. Nel 2019 la percentuale era solo del 9,2%. Il declino che ha fatto seguito alla crisi migratoria del 2015 è ormai alle spalle per gli italiani. Il numero di arrivi è sceso da 181.436 nel 2016 a un minimo di 11.500 nel 2019, per poi risalire nel 2020 (36.435) e nel 2021 (68.309).
La causa principale di questa ripresa delle traversate è da ricercarsi nella situazione in Libia. Roma era riuscita ad arginare il flusso di migranti grazie ad accordi con le milizie della Tripolitania (Libia occidentale), che è la piattaforma prediletta per gli imbarchi verso l’Italia.
Gli europei, tramite la missione militare Irini, avevano anche sbloccato fondi e consegnato attrezzature alla guardia costiera libica per consentirle di intercettare queste partenze, a costo di gravi violazioni dei diritti umani.
L’instabilità attuale in Libia ha fatto cadere il già fragile castello costruito fino ad ora. A dimostrarlo la ripresa degli arrivi in Italia dalla Tripolitania, che sono passati dai 13.139 del 2020 ai 30.520 del 2021, cioè più che raddoppiati.
La tendenza è ancora in accelerazione nei primi sei mesi del 2022, con la previsione di sbarchi mensili di 3.442 persone sulle coste italiane dalla Libia, rispetto ai 2.543 del 2021.
Nuova rotta marittima
Questo rimbalzo migratorio è alimentato da nuovi canali migratori come quelli che portano profughi provenienti dal Bangladesh. Questi ultimi sono ora la prima nazionalità a sbarcare in Italia (17% del totale nei primi sette mesi del 2022), al pari degli egiziani, soppiantando i tunisini (14%), che avevano rappresentato il primo gruppo nazionale nel 2019 (24%), 2020 (38%) e 2021 (24%).
Sebbene la rete del Bangladesh non sia propriamente nuova, ha acquisito visibilità a causa dell’indebolimento di altri canali dovuto alle misure restrittive adottate dagli europei. Ad esempio, le pressioni esercitate sul Niger affinché rafforzi la sorveglianza della sua frontiera sahariana con la Libia, che in passato veniva attraversata in gran numero dai subsahariani che intraprendevano l’avventurosa traversata del Mediterraneo.
La “diga” sembra aver retto, a giudicare dalla quasi totale scomparsa del canale nigeriano, che nel 2016 ha rappresentato la prima nazionalità a sbarcare in Italia via Libia (21% del totale). Tuttavia ciò non ha scoraggiato i cittadini del Bangladesh o addirittura gli egiziani, che decidono di utilizzare le rotte terrestri orientali piuttosto che quelle meridionali per raggiungere la Libia.
L’apertura di una nuova rotta marittima con origine in Turchia si aggiunge a questa spinta verso la Libia: 6.563 migranti e rifugiati l’hanno utilizzata dal 1° gennaio al 31 agosto, più che raddoppiando rispetto allo stesso periodo del 2021.
Gli afghani ne usufruiscono in gran numero, tanto da diventare il quarto gruppo nazionale per arrivi in Italia (12% del totale). Il Paese sta quindi diventando il nuovo obiettivo dei circuiti migratori che cercano di aggirare le difficoltà di accesso alla Grecia.
Sebbene il numero di arrivi sulle isole greche sia in aumento (3.000 nei primi sei mesi del 2022, ovvero +129% rispetto allo stesso periodo del 2021), è ancora lontano dal picco della crisi migratoria: 8.567.323 nel 2015 o addirittura 1.734.447 nel 2016.
Gli sbarchi in Grecia rappresentano oggi meno del 15% degli arrivi via mare in Europa, rispetto all’84% del 2015. Il motivo principale: l’accordo del 2016 tra Bruxelles e Ankara sul controllo delle partenze dalle coste turche, unito ai “pushbacks” offensivi in mare da parte della guardia costiera greca, che respingono i migranti verso la Turchia in violazione della Convenzione di Ginevra sui rifugiati.
L’emergere dell’Italia come principale “linea del fronte” migratorio europeo nel Mediterraneo ha un’altra causa: l’allentamento delle tensioni intorno alla Spagna.
Questi avevano raggiunto un punto critico nel maggio 2021, con l’episodio dell’ingresso in massa di migranti nell’enclave spagnola di Ceuta.
Interventi tra Madrid e Rabat
È stato il periodo in cui il Marocco ha “alzato il piede” sul controllo delle frontiere con la Spagna per punire quest’ultima per la sua politica ritenuta ostile sulla questione del Sahara occidentale. Come risultato di questa pressione esercitata da Rabat attraverso i migranti, la Spagna era diventata la principale zona di attrito migratorio nell’Europa mediterranea, assorbendo il 42% del flusso di arrivi nel Vecchio Continente, davanti all’Italia (34,3%).
Tuttavia, la normalizzazione delle relazioni tra Madrid e Rabat, avvenuta il 18 marzo in seguito al riconoscimento da parte del capo del governo spagnolo Pedro Sanchez del piano di “autonomia” del Marocco per il Sahara occidentale – con grande disappunto dell’Algeria – ha sconvolto la situazione. Il regno di Cherifa è tornato a essere il vigile guardiano dei suoi confini, al punto da aver represso con forza, a giugno, il tentativo ingresso forzato di 1.500 tra migranti e rifugiati subsahariani nell’enclave di Melilla, provocando almeno ventitré morti.
Dalla riconciliazione del 18 marzo, le curve degli arrivi in Spagna sono diminuite, con una coincidenza inquietante. La media mensile è scesa a 2.047 dai 3.599 per tutto il 2021, con un calo del 43%. Questa improvvisa inflessione statistica a partire dal 18 marzo è chiaramente legata al miglioramento diplomatico tra Madrid e Rabat.
I timori che l’Algeria si vendichi “alzando il piede” sulla partenza dei propri harraga (migranti irregolari) verso le coste spagnole non sono stati confermati, scrive El Pais nell’edizione del 10 agosto. La tendenza generale è addirittura quella di una diminuzione degli arrivi dall’Algeria, con la notevole eccezione delle Isole Baleari, dove gli sbarchi sono in aumento.
La geopolitica delle migrazioni nel Mediterraneo, dove i cicli diplomatici tra le capitali si combinano con la resilienza delle reti che aggirano gli ostacoli, è molto fluida. La ricomparsa di una forte migrazione verso l’Italia ne è una prova.