di Antonio Adriano Giancane
La fine del regime di Bashar al-Assad in Siria rappresenta uno dei capitoli più inattesi e significativi della politica mediorientale degli ultimi anni. L’evento ha sorpreso molti analisti, nonostante la crisi interna e regionale che aveva progressivamente indebolito il presidente siriano e il suo esercito.
Il collasso del regime di Assad, innescato con l’ordine di uccisione del Generale iraniano Qasem Suleimani impartito direttamente da Donald Trump, è il risultato di una combinazione di fattori interni ed esterni. Internamente, la Siria ha subito una devastante crisi economica causata dalla guerra civile iniziata nel 2011, dalla mancata ricostruzione post-conflitto e dall’effetto a cascata della crisi finanziaria del Libano nel 2020. A questo si aggiungono le dure sanzioni imposte da Stati Uniti e Unione Europea, che hanno ulteriormente isolato Damasco.
La popolazione siriana, ormai in larga parte vulnerabile dal punto di vista alimentare e umanitario, ha visto svanire qualsiasi prospettiva di normalizzazione. Neanche il ritorno della Siria nella Lega Araba, nel maggio 2023, ha portato benefici tangibili, lasciando Assad sempre più isolato politicamente ed economicamente.
Sul piano militare, l’apparato di difesa siriano, un tempo pilastro del regime, ha mostrato segni di cedimento irreversibili. L’incapacità di contrastare l’offensiva delle forze ribelli guidate da Hayat Tahrir al Sham (HTS), sostenute dalla Turchia e da altri attori regionali, ha evidenziato lo stato di disintegrazione di un esercito esausto dopo oltre un decennio di conflitto.
A livello geopolitico, il declino degli alleati storici di Assad ha giocato un ruolo cruciale. L’Iran e il movimento libanese Hezbollah, centrali nel sostegno al regime durante la guerra civile, sono stati messi in difficoltà dagli attacchi israeliani e dalla pressione militare statunitense dopo il conflitto di Gaza del 2023. Anche la Russia, distratta e militarmente impegnata nella guerra in Ucraina, non ha potuto offrire il supporto necessario a Damasco. Con il regime privato dell’appoggio dei suoi principali sostenitori, le forze ribelli hanno trovato terreno fertile per avanzare e ottenere il controllo.
La caduta di Assad ha portato una temporanea calma, con la promessa di una transizione pacifica del potere. Tuttavia, in un paese dove le rivalità tra le diverse fazioni ribelli e l’assenza di un processo chiaro di riconciliazione post-conflitto rappresentano ostacoli significativi, il futuro della Siria rimane decisamente incerto.
Hayat Tahrir al Sham, nonostante le sue dichiarazioni concilianti, resta un gruppo legato all’Islam politico radicale, con una visione che potrebbe scontrarsi con la natura secolarizzata e multi-identitaria di molte aree della Siria. La possibilità di vendette locali, il ritorno di frange radicali legate al passato regime e l’influenza esterna di potenze regionali come la Turchia e il Qatar aggiungono ulteriori elementi di complessità.
Secondo alcuni analisti, la Siria potrebbe sfruttare questa transizione come un’opportunità per ripensare il proprio futuro. La sua posizione strategica e la ricchezza storica e culturale la rendono un potenziale fulcro economico e politico del Medio Oriente. Tuttavia, ciò richiederà un impegno collettivo, sia da parte della comunità internazionale che degli stessi siriani, per ricostruire il paese su basi solide e inclusive.
L’eredità di Assad sarà ricordata per decenni, ma la caduta del suo regime offre una possibilità di rinascita per una nazione che, nonostante tutto, rimane al centro della storia e del futuro della regione.
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