Il fuoco torna a mettere a dura prova la California costringendo il presidente Donald Trump a dichiarare lo stato di emergenza.
L’incendio, divampo lunedì scorso a causa di un guasto meccanico ad un veicolo nella Whiskeytown National Recreation Area, ha già causato almeno due morti, decine di feriti e l’evacuazione di 10.000 persone, oltre ad aver distrutto 65 edifici mentre almeno altre 500 strutture sono minacciate dal fuoco.
Le fiamme sono divampate velocemente e complici le temperature elevate hanno ricoperto, in soli cinque giorni, un area di oltre 178 chilometri quadrati. Secondo quanto reso noto dalle autorità i 1.750 pompieri dispiegati e i 10 elicotteri utilizzato sono riusciti a domare solo il 3% dell’incendio.
Le autorità sul posto hanno dichiarato che l’incendio “è molto pericoloso e si muove distruggendo tutto quello che trova sulla sua strada, il vento e le elevate secche temperature, in alcune aree fino a 45 gradi, stanno complicando il lavoro dei vigili del fuoco. Non abbiamo mai visto nulla del genere ad eccezione dello scorso anno”.
Oltre al “Carr Fire” nel nord, la California brucia anche al centro, dove le fiamme hanno costretto alla maggiore chiusura lo Yosemite National Park. Nel sud dello stato un uomo stato arrestato nelle ultime ore, con il sospetto di aver causato le fiamme nell’area meridionale di Cranston, dove il fuoco sulle montagne di San Jacinto è contenuto solo per il 5%.
La gravità della situazione ha scatenato forti polemiche sul funzionamento del sistema di allertamento e sul sistema di evacuazione in vigore. In alcune contee infatti lo stato di allerta e le indicazioni vengono comunicate tramite messaggini inviati al cellulare, ma solo a chi si iscrive al servizio.
Un sistema non ritenuto affidabile perché in grado di coprire solo una quota limitata della popolazione e soprattutto perché le fiamme fanno spesso saltare le linee telefoniche e il servizio di copertura, isolando potenzialmente milioni di abitanti in pericolo.