Hong Kong ha rivelato che Pechino organizza sistematicamente campagne di disinformazione su larga scala e ad alta tecnologia, anche in inglese e fuori dai confini del paese. Ieri Twitter e Facebook, censurati in Cina, ma attivi a Hong Kong hanno bloccato un migliaio di profili legati alla Cina, utilizzati per generare “caos”. Un campionario di algoritmi e profili falsi, precisa La Repubblica (perfino un “reduce di Tiananmen”), che hanno prodotto e diffuso messaggi nazionalisti, insulti contro i manifestanti e bufale, per esempio accusando i giovani della protesta del ferimento di una donna che era stata, invece, colpita dalla polizia.
Twitter ha, quindi, annunciato che non accetterà più inserzioni a pagamento dei media di Stato cinesi. Il governo di Pechino ha condannato i due social network, difendendo il diritto di esprimere il punto di vista cinese.
Ma questa campagna rappresenta un campanello d’allarme, anche in vista delle elezioni a Taiwan. Intanto a Hong Kong, dopo la pacifica manifestazione di domenica, la Chief executive Carrie Lam si è presentata in conferenza stampa con un atteggiamento più morbido. Ha confermato che la legge sull’estradizione è «morta», annunciando l’apertura al dialogo, per dare risposte sulle operazioni “forti” della polizia, contestate dalle associazioni scese in piazza.
Ma per i leader della piazza è una trappola per sviare le indagini dell’organo di vigilanza sulle violenze della polizia. “Nulla di nuovo, solo uno show”, dice a Repubblica Bonnie Leung, tra i leader di Chrf, il gruppo che ha organizzato le marce e che chiede a Lam di incontrare i rappresentanti del fronte democratico. La prossima manifestazione oceanica è prevista per il 31 agosto.