(di Davide Maniscalco, coordinatore regionale Aidr per la Sicilia, Head of public affairs di Swascan – Tinexta Group) “Trust” è la stella polare che orienta i policy makers nella configurazione di un mercato unico digitale europeo che venga percipito “safe” dagli utenti digitali, in uno scenario sempre più interconnesso.
In questa direzione, l’articolo 8 del Cybersecurity Act ha conferito all’Agenzia dell’Unione europea per la sicurezza informatica, nel nuovo introdotto mandato permanente, di monitorare gli sviluppi nel settore della standardizzazione, anche in vista della prossima “entrata a regime”, nel giugno 2021, della certificazione europea di prodotti e processi.
Il lavoro dell’Enisa si è dunque focalizzato sul supporto alle attività di standardizzazione ancora on going delle organizzazioni europee di normazione CEN, CENELEC, ETSI, nonché del gruppo di coordinamento della sicurezza informatica ed anche con l’opportuna collaborazione con le organizzazioni per lo sviluppo di standard (SDO) come ad esempio ISO SC27 (Liaison) nonché con la Commissione Europea ed altri Stakeholders.
Di questo si è parlato nella conferenza annuale sulla standardizzazione in relazione alla direttiva sulle apparecchiature radio (RED) e la certificazione secondo le disposizioni del Cybersecurity Act (CSA) organizzata dall’Enisa che si è conclusa lo scorso 4 febbraio dopo una intensa “tre giorni” di lavori con oltre 2000 partecipanti dall’UE e da tutto il mondo.
La costruzione del Digital Single Market passa inevitabilmente da tre importanti linee di azione:
- favorire un confronto costruttivo tra il livello politico, l’industria, la ricerca, e le Organizzazione di standardizzazione e certificazione
- allargare il dialogo anche a tutti i soggetti a vario titolo coinvolti nello sviluppo del quadro di certificazione delle ICT in Europa;
- rendere efficace l’attuazione del Cybersecurity Act.
Frattanto, il recente avvio dell’iter di revisione della Direttiva Europea NIS, attraverso la NIS2 inserita nel più ampio framework della EU Cybersecurity Strategy per il prossimo decennio digitale, rilasciata lo scorso dicembre, ha posto le condizioni per un convinto rilancio della public private partnership come strumento di efficace info-sharing e, in ultimo, di complessivo enhancement della protezione e resilienza nell’ambito del quinto dominio su scala europea.
A ciò si aggiunga che lo scorso 24 luglio 2020, è stata adottata la nuova strategia UE della sicurezza 2020-2025 relativa alla protezione e resilienza delle infrastrutture che va nella direzione di una importante revisione della Direttiva europea 2008/114/CE dell’8 dicembre 2008 relativa alle infrastrutture critiche europee.
È pertanto intuitivo che in tale scenario le normative e le regolamentazioni esistenti in materia di sicurezza delle reti e dei sistemi diventano un punto di riferimento per tutte le imprese che intendono aumentare il loro livello di sicurezza e la consapevolezza riguardante le minacce e i rischi informatici e, pertanto, diventa fondamentale configurare un efficace approccio alla mitigazione del rischio e alla resilienza dei processi primari di business.
Se tuttavia, da un lato, la strategia europea sulla cybersecurity mira a rafforzare la sovranità digitale e la leadership su norme e standards internazionali afferenti il dominio cibernetico, dall’altro pone un importante interrogativo sul quale può essere utile stimolare un dibattito: come favorire il concreto (cyber)sviluppo delle PMI?
È vero che la strategia europea intende valorizzazione le PMI nell’ambito dei poli dell’innovazione digitale preordinati a migliorare le competenze a stimolare l’innovazione e la competitività.
È vero altresì che l’Europa ha messo in campo un budget senza precedenti tra programma Europa digitale, Orizzonte Europa ed il piano per la ripresa dell’Europa, avuto anche riguardo allo sviluppo del Centro di competenza sulla cybersecurity e della rete dei centri di coordinamento.
Tuttavia, appare necessario che la strategia di sostegno economico agli investimenti venga opportunamente innestata in un framework di accountability soprattutto degli operatori della PMI.
Ciò può rivelarsi particolarmente strategico per migliorare gli standard di security delle PMI italiane e, più in generale, delle loro vulnerabilità, laddove coinvolte nelle supply chain, con conseguenti esternalità negative per l’intera filiera di riferimento.
È notorio, infatti, che una delle principali vulnerabilità delle supply chain è rappresentata proprio dalla presenza di PMI con scarsa sensibilità verso il tema della cyber.
La strategia che pretende di far conseguire l’aumento dei budgets delle PMI sull’information security ad una crescita di awareness, si è rivelata nel tempo non del tutto efficace.
In tale prospettiva, ha senso far crescere ipertroficamente l’offerta di tecnologie e standards se le PMI non possiedono ancora le necessarie skills per orientare i propri auspicabili investimenti in termini di cost-effectiveness?
Può essere più efficace, piuttosto, individuare e selezionare le migliori leve da azionare per creare dapprima una domanda “qualificata” ed orientarla poi verso la più congrua e coerente offerta per favorire in ultimo la crescita equilibrata della security e, in generale, l’affidabilità della supply chain.