Inaccettabile che le organizzazioni criminali concorrano ad aumentare il Pil
In massima parte è gestita dalle organizzazioni mafiose e conta un volume d’affari annuo stimato in 40 miliardi di euro, pari a oltre il 2 per cento del nostro Pil (Sauro Mocetti e Lucia Rizzica, “La criminalità organizzata in Italia”, Banca d’Italia, Questioni di Economia e Finanza n° 661, dicembre 2021, pag. 5). Stiamo parlando dell’economia criminale riconducibile alla Mafia Spa (con questo termine, in questa nota “includiamo” le attività illegali ascrivibili a Cosa Nostra, Ndrangheta, Camorra, Sacra Corona Unita, Mafia nigeriana, organizzazioni criminali provenienti dall’Est Europa, etc.) che, a titolo puramente statistico, presenta in Italia un “giro d’affari” inferiore solo al fatturato di GSE (Gestore dei Servizi Energetici), di ENI e di ENEL (secondo Mediobanca il fatturato 2021 di GSE è stato di 54,4 miliardi, di ENI di 76,5 miliardi e di ENEL di 84,1 miliardi di euro. Le realtà appena richiamate occupano le prime tre posizioni nella classifica nazionale delle principali società industriali e dei servizi per volume di fatturato). Sono dati, quelli relativi alle attività economiche criminali, che sono certamente sottostimati, in quanto non siamo in grado di dimensionare anche i proventi ascrivibili all’infiltrazione di queste organizzazioni malavitose nell’economia legale. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA.
No all’economia illegale dentro il Pil
Se a parole tutti siamo contro le mafie, nelle azioni concrete non sempre è così. Infatti, è quanto meno “imbarazzante” che dal 2014, l’Unione Europea, con apposito provvedimento legislativo (Regolamento UE n° 549/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2013) consenta a tutti i paesi membri di conteggiare nel Pil alcune attività economiche illegali: come la prostituzione, il traffico di stupefacenti e il contrabbando di sigarette (essendo considerate attività economiche fondate su transazioni consensuali, dove domanda e offerta si incontrano senza costrizioni, l’UE ritiene che debbano far parte del benessere economico europeo. Anche perché in alcuni Paesi dell’Unione, alcune di queste attività sono legali). “Grazie” a questa opportunità, nel 2020 (ultimo dato disponibile) abbiamo “gonfiato” la nostra ricchezza nazionale di 17,4 miliardi di euro – quasi un punto di Pil – (Istat, “La crisi del 2020 colpisce anche l’economia non osservata: crolla del 14,1% e l’incidenza scende al 10,5% del Pil”, 14 ottobre 2022. Di questi 17,4 miliardi di euro di valore aggiunto, 600 milioni di euro sono riconducibili al contrabbando di sigarette, 3,5 miliardi alla prostituzione e 13,3 miliardi al traffico di droga). Una decisione eticamente inaccettabile: da un lato lo Stato combatte e contrasta le mafie, dall’altro riconosce a queste organizzazioni criminali un ruolo attivo di “portatori di benessere economico”. In buona sostanza è come se sul piano statistico ammettessimo che anche una parte dell’economia illegale riconducibile a Mafia Spa è “buona e accettabile”; insomma, una componente “positiva” della nostra ricchezza nazionale (“Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere”, Relazione conclusiva, Approvata dalla Commissione nella seduta del 7 febbraio 2018, pag. 26).
Spesa pubblica e corruzione terreno fertile per Mafia Spa
Come dimostrano gli studi citati precedentemente, a livello territoriale la presenza più diffusa delle organizzazioni economiche criminali si registra nel Mezzogiorno, anche se ormai molte evidenze altrettanto inquietanti segnalano la presenza di queste realtà illegali nelle aree economicamente più avanzate del Centro-Nord. La letteratura specializzata evidenzia che, storicamente, i territori dove l’economia locale è fortemente condizionata dalla spesa pubblica e il livello di corruzione della pubblica amministrazione è molto elevato sono più vulnerabili dal potere corruttivo delle mafie. Induttivamente è possibile riconoscere un’area geografica più a rischio di un’altra, anche dal riscontro di una elevata presenza di reati spia. Nei territori dove il numero di denunce all’autorità giudiziaria per estorsione/racket, usura, contraffazione, lavoro nero, gestione illecita del ciclo dei rifiuti, scommesse clandestine, gioco d’azzardo, etc. è molto alto, la probabilità che vi sia una presenza radicata e diffusa di una o più organizzazioni criminali di stampo mafioso è molto elevata.
Buona parte del Sud, Roma, Latina, Genova, Imperia e Ravenna sono le aree più a rischio
Secondo la Banca d’Italia (Sauro Mocetti e Lucia Rizzica, “La criminalità organizzata in Italia”, Banca d’Italia, Questioni di Economia e Finanza n° 661, dicembre 2021, pag. 10) la penetrazione territoriale della Mafia Spa non riguarda solo il Sud; purtroppo presentano un indice di presenza mafiosa (tale indice è calcolato incrociando i dati riferiti a: omicidi di stampo mafioso, reati di associazioni di tipo mafioso, Comuni sciolti per mafia, imprese confiscate alle mafie, omicidi volontari, danneggiamenti a seguito di incendi, attentati, estorsione, sfruttamento della prostituzione, produzione e traffico di stupefacenti, contrabbando, riciclaggio. Da un’indagine realizzata su un campione di 3.500 imprese, invece, sono stati “calcolati” l’indice di vittimizzazione, la percezione di acquisizioni “insolite”, la percezione di finanziamenti “anomali” e la percezione di violenza ed estorsioni) molto preoccupante anche realtà del Centro-Nord, in particolar modo le province di Roma, Latina, Genova, Imperia e Ravenna. Meno colpite delle precedenti, ma comunque con forti criticità si segnalano, sempre nella ripartizione centrosettentrionale, anche le provincie di Torino, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Varese, Milano, Lodi, Brescia, Savona, La Spezia, Bologna, Ferrara, Rimini, Pistoia, Prato, Firenze, Livorno, Arezzo, Viterbo, Ancona e Macerata. Meno investite da questo triste fenomeno sarebbero, invece, le province del Triveneto (con leggeri segnali in controtendenza a Venezia, Padova, Trento e, in particolar modo, Trieste). Anche la Valle d’Aosta e l’Umbria presentano un livello di rischio molto basso. Nel Mezzogiorno, infine, secondo i ricercatori di via Nazionale gli unici territori completamente “immuni” dalla presenza del fenomeno mafioso sarebbero le province di Matera, Chieti, Campobasso e le realtà sarde di Olbia-Tempio, Sassari e Oristano. Per vedere la geografia provinciale del fenomeno, apri la pagina web della Banca d’Italia del seguente link: pag. 11 (Figura 2: mappa della presenza mafiosa).
Oltre all’economia illecita nel Pil c’è anche il sommerso
Oltre ai 17,4 miliardi di euro “prodotti” dalle attività illegali (attraverso il traffico di droga, contrabbando di sigarette e prostituzione), il nostro Pil nazionale “assorbe” altri 157 miliardi di euro: di cui 79,7 sono “nascosti” dalla sottodichiarazione, 62,4 miliardi dal lavoro irregolare e 15,2 miliardi dalla voce Altro (ovvero, mance, affitti in nero, etc.). I 174,4 miliardi di euro complessivi (17,4 più 157), compongono la cosiddetta economia non osservata che è interamente conteggiata nel nostro Pil nazionale. Ancorché non sia possibile quantificarne la dimensione, è evidente che anche una parte importante di questo stock (157 miliardi) sia riconducibile alle organizzazioni criminali di stampo mafioso, a dimostrazione che i 40 miliardi di volume d’affari richiamati all’inizio di questo documento addebitati a Mafia Spa sono, purtroppo, sottostimati.