Tra tutti gli imprenditori dell’area dell’euro intervistati dall’Unione europea, gli italiani sono quelli che hanno denunciato con più veemenza degli altri la complessità delle procedure amministrative a cui sono sottoposti. Su dieci intervistati, nove hanno affermato di essersi trovati in grave difficoltà ogni qual volta hanno dovuto applicare le disposizioni richieste dai nostri uffici pubblici.
Tra moduli da compilare, certificati da produrre e adempimenti da espletare, la nostra Pubblica Amministrazione (PA) continua ad alimentare la malaburocrazia che nel nostro Paese ha ormai raggiunto una dimensione non più accettabile. Dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo:
“La stima del costo che incombe sul nostro sistema produttivo per la gestione dei rapporti con la PA ammonta a 57,2 miliardi di euro. Se a questi aggiungiamo anche i mancati pagamenti da parte dello Stato centrale e delle Autonomie locali nei confronti dei propri fornitori – che nonostante i 12 miliardi messi a disposizione con il decreto Rilancio dovrebbero abbassare lo stock del debito commerciale a 42 miliardi circa – il cattivo funzionamento del nostro settore pubblico grava sul sistema produttivo italiano per quasi 100 miliardi di euro all’anno”.
Queste cifre confermano che le nostre aziende sono sempre più schiacciate da una burocrazia cieca e ottusa e da un cattivo funzionamento della PA che non sembra essere in grado di redimersi. Sebbene possiamo contare anche noi su punte di eccellenza della nostra Amministrazione pubblica che ci sono invidiate in tutta Europa, in questa fase di COVID le cose, purtroppo, sono peggiorate. Sottolinea il segretario della CGIA Renato Mason:
“I decreti Cura Italia, Liquidità e Rilancio non hanno finora innescato gli effetti positivi che tutti auspicavano. All’opposto, hanno generato confusione, disorientamento e tanta irritazione da parte dei lavoratori e delle imprese nei confronti delle istituzioni pubbliche. I punti di criticità sono tanti, in particolar modo di natura burocratica. Sono stati approvati dei provvedimenti impossibili da gestire e da rispettare, perché scritti male e difficilmente decifrabili. Sicuramente saranno stati pensati con le migliori intenzioni, ma chi pensa di mantenerli vive fuori dal mondo”.
Molti osservatori speravano che con l’avvento dello smart working la situazione potesse migliorare. Sembra, invece, che le cose siano andate diversamente. Con l’avvento del COVID, infatti, sono stati tantissimi i dipendenti pubblici che hanno iniziato a lavorare da casa. Secondo una recente indagine condotta da Promo PA Fondazione, su un campione di 50 dirigenti apicali del settore pubblico sono emersi dei risultati molto preoccupanti. A causa dei problemi legati alla sicurezza informatica dovuti all’utilizzo di PC personali e ai problemi di connessione internet, gli intervistati hanno denunciato una contrazione media della produttività di questi lavoratori del 30 per cento. Se teniamo conto che prima dell’avvento del coronavirus il livello di produttività medio della nostra PA non era particolarmente elevato, l’esperienza maturata in questi tre mesi non sembra aver dato risultati particolarmente incoraggianti.
Tornando agli effetti economici del cattivo funzionamento della nostra macchina pubblica, a livello territoriale le realtà produttive più penalizzate sono quelle ubicate a Milano, Roma e Torino.
L’Ufficio studi della CGIA ha provato a stimare a quanto ammonta il peso della burocrazia sulle imprese per province di residenza, calcolando l’incidenza del valore aggiunto sui 57,2 miliardi di euro di costo annuo stimato dall’Istituto Ambrosetti. In questa simulazione, ovviamente, risultano essere maggiormente penalizzate quelle realtà territoriali dove è maggiore la concentrazione di attività economiche che producono ricchezza.
La provincia dove il costo annuo sostenuto dalle imprese per la gestione dei rapporti con la Pubblica Amministrazione è superiore a tutte le altre è Milano con 5,77 miliardi di euro. Seguono Roma con 5,37, Torino con 2,43, Napoli con 1,97, Brescia con 1,39 e Bologna con 1,35 miliardi di euro. Le realtà imprenditoriali meno “soffocate” dalla burocrazia sono quelle di Enna (87 milioni di euro), Vibo Valentia (82 milioni) e Isernia (56 milioni di euro).
Quali sono le proposte della CGIA per migliorare l’efficienza della nostra PA? Innanzitutto, bisogna diminuire le norme presenti nel nostro ordinamento. In questi ultimi decenni sono aumentate a dismisura, in quanto il legislatore nazionale ha ecceduto nell’approvazione di decreti legislativi che per essere operativi richiedono la successiva approvazione di provvedimenti attuativi.
Altresì, è necessario che queste leggi siano scritte meglio, cancellando le sovrapposizioni esistenti tra i vari livelli di governo, bandendo il burocratese e imponendo un monitoraggio periodico sugli effetti che queste producono, soprattutto in campo economico.
È necessario, inoltre, semplificare le procedure e introdurre controlli successivi rigidissimi, incentivando il meccanismo del silenzio- assenso, senza dimenticare che bisogna digitalizzare tutti i soggetti pubblici, agevolando il dialogo tra le loro banche dati per evitare la duplicazione delle richieste che periodicamente travolgono cittadini e imprenditori ogni qual volta si interfacciano con un ufficio pubblico.
Infine, bisogna “depenalizzare” il reato di abuso di ufficio che, purtroppo, “dissuade” tanti dirigenti pubblici ad apporre la firma, rallentando enormemente lo smaltimento delle pratiche nell’edilizia, nell’urbanistica e nel settore degli appalti. Per contro, vanno premiati i dirigenti/funzionari che si comportano correttamente e rendono efficienti le proprie aree di influenza: l’aumento della produttività, anche nel pubblico, va riconosciuto economicamente.