(di Massimiliano D’Elia) Mentre l’Alleanza Transatlantica si sta preparando per il suo 70° anniversario nell’aprile 2019, l’Organzzazione nata per garantire la pace duratura mondiale sta perdendo il proprio peso specifico, sotto il peso combinato di Trump, la divisione degli interessi strategici nei paesi del Sud-Est e a causa della politica bivalente della Turchia.
Dopo due decenni di operazioni fuori area, dai Balcani all’Afghanistan, la NATO è tornata al suo compito originario: deterrenza e difesa territoriale. Dopo l’annessione russa della Crimea e l’inizio dell’interferenza di Mosca nell’Ucraina orientale nel 2014, l’articolo “5” riprende la sua posizione prioritaria nell’elenco dei compiti principali dell’Alleanza. L’assertiva politica estera della Russia, il suo intervento militare in Siria, il suo attacco con armi chimiche contro gli Skripal nel Regno Unito, le sue azioni di servizio di intelligence – in particolare l’attacco cibernetico all’OPCW all’Aia – hanno sottolineato la necessità di un’Alleanza credibile, adattata alle esigenze di sicurezza del 21° secolo.
Trump e l’America first
Da quando Donald Trump è diventato inquilino della Casa Bianca, una nuvola nera si è abbattuta sulle relazioni transatlantiche. Con la sua campagna “America First”, il Presidente Trump sta sfidando l’Europa, annunciando il ridimensionamento della presenza in Europa, il ritiro dall’accordo sul clima di Parigi e l’abbandono dell’accordo sul nucleare con l’Iran.
Le relazioni sulla sicurezza e difesa tra Stati Uniti ed Europa sono entrate in una nuova fase. Sono stati sollevati dubbi dall’Amministrazione Trump sull’impegno degli Stati Uniti nei confronti della sicurezza europea, nonostante le ripetute dichiarazioni a favore della NATO del vicepresidente americano, del Segretario della Difesa e del Segretario di Stato.
Trump non sta mettendo in discussione l’esistenza dell’Alleanza, ma ha trasformato la questione della condivisione degli oneri come uno strumento chiave per pesare e misurare i futuri investimenti statunitensi nella sicurezza europea.
Nelle sue due frasi dirette all’ex segretario alla Difesa Jim Mattis Trump è stato chiaro: “Puoi avere la tua NATO”, “Ma diventi il mero collettore di affitti”. “I paesi europei sono gli unici responsabili nel dover realizzare l’obiettivo di spendere il 2% del PIL nel settore della Difesa, così come concordato al vertice della NATO nel 2014”.
Nonostante la retorica di Trump ci sono più truppe americane in Europa oggi che durante la fine dell’amministrazione Obama.
Basta dare un’occhiata al budget destinato a rafforzare le capacità militari nell’ambito della European Deterrence Initiative che è quasi raddoppiato da $ 3,4 miliardi (2017) a $ 6,5 miliardi (2019).
Oltre alle forze permanentemente di stanza, gli Stati Uniti ruotano continuamente il personale nella brigata corazzata e in quella di combattimento dell’aeronautica.
Le scorte americane per le due brigate stanno di nuovo riempendo i depositi in Belgio, nei Paesi Bassi e in Germania. Le truppe americane stanno partecipando a tutte le esercitazioni NATO.
Ma mai prima d’ora un presidente americano è stato così critico nei confronti dei principali partner europei come la Germania. E mai prima d’ora i sostenitori europei della Nato avevano messo in discussione l’impegno degli Stati Uniti nei confronti della sicurezza europea.
Secondo un sondaggio del 2018, il 56% dei tedeschi pensava che le relazioni tra Germania e Stati Uniti fossero in cattive condizioni e solo l’11% aveva fiducia nel presidente degli Stati Uniti – contrariamente all’86% nell’ultimo anno del mandato del presidente Obama.
Si registra, quindi, un forte contrasto tra i tweet della Casa Bianca e le vere misure adottate dagli Stati Uniti. Al riguardo anche il Segretario della Difesa Usa ha sensibilizzato gli alleati europei ad aumentare la loro quota di oneri per la difesa. Ora si potrebbe aprire un nuovo scenazione dopo le dimissioni di Jim Mattis – massimo sostenitore della cooperazione Usa per la difesa nella NATO – anche se per il momento, non ci sono segnali tangibili che facciano intendere la drastica diminuzione della presenza americana in Europa.
Anche il rapporto del presidente francese Macron con Trump è caratterizzato da alti e bassi. Macron e la Merkel forse prima di tutti stanno contestualizzando l’emergenza e spingono per porre le basi ad una Difesa europea comune.
Ma qualunque cosa succederà, la pressione di Washington sull’Europa per investire di più nella Difesa non diminuirà perchè gli Stati Uniti hanno altre sfide da affrontare a causa del cambiamento dell’ordine globale e dell’intraprendenza della Cina.
La retorica americana è comunque dettata dalla nuova strategia nel Pacifico e Asia orientale che richiederà uno sforzo militare statunitense sempre maggiore. Per l’Europa, quindi, non ci sarà altra scelta che aumentare i propri investimenti nella difesa, portandolo al 2 per cento del Pil, come sottoscritto nel 2014.
Problemi diversi tra paesi europei dell’Est e del Sud
Una mancanza di unità caratterizza anche le relazioni tra gli stessi membri della NATO europea. Gli alleati dell’Europa orientale – gli Stati baltici e la Polonia – considerano la Russia la più grande minaccia. Essi sostengono fortemente la necessità di concentrare gli investimenti sulle capacità di difesa territoriale.
I membri della NATO meridionale sono, invece, principalmente preoccupati per gli effetti dell’instabilità e dei conflitti in Medio Oriente e in Africa, come la migrazione, il terrorismo e la criminalità organizzata internazionale.
La loro mentalità sulla sicurezza è quindi diversa, meno orientata al rafforzamento delle forze armate pesanti e più all’espansione delle capacità navali, di guardia costiera e di protezione dei confini.
L’Italia e la Spagna hanno dichiarato pubblicamente che non potranno raggiungere subito l’obiettivo, mentre la Polonia e gli Stati baltici stanno già spendendo o spenderanno presto il 2% del loro Pil nella Difesa.
Le sfide da est continueranno a dominare gli sforzi della NATO per rafforzare la sua deterrenza e il suo atteggiamento di difesa.
La NATO sta lottando, infatti, con la questione di come bilanciare meglio gli interessi dominanti di sicurezza dei suoi membri dell’Europa orientale e meridionale. L’operazione NATO “Sea Guardian” nel Mediterraneo ne è una prova. Potrebbe essere rafforzata la forza navale dell’UE nella missione EUNAVFOR MED – Op.Sophia, iniziata nel 2015.
Rimarrà, pertanto, difficile per l’Alleanza svolgere un ruolo importante nell’affrontare le principali preoccupazioni per la sicurezza dei suoi stati membri meridionali poichè i principali attori nella protezione delle frontiere e nella lotta al terrorismo sono le istituzioni civili quali la polizia, la polizia di dogana e la guardia costiera.
Turchia
Altro discorso per la Turchia. Un membro della NATO, un tempo fedele, a guardia del fianco sud-orientale dell’Alleanza per lungo tempo, oggi si è trasformata in un sensibile problema per l’Alleanza. Sotto la presidenza Erdogan, la Turchia è diventata uno stato semi-autocratico, allontanandosi dall’orientamento più conservatore e religioso.
Per impedire un’ulteriore espansione della parte siriana controllata dai kurdi, Ankara è intervenuta militarmente e ora occupa diverse parti del territorio del suo confine meridionale a ridosso della Siria. Aver intessuto relazioni con Iran e Russia ha messo in allarme gli alleati della NATO. Una serie di incidenti hanno segnato le crescenti tensioni tra Ankara e Washington. L’annuncio della Turchia nel dicembre 2017 di voler acquistare i missili russi di difesa aerea S-400 ha provocato la reazione degli Stati Uniti con l’imposizione di nuove sanzioni.
Per questo motivo la consegna di 100 caccia F-35 alla Turchia è stato ritardato e probabilmente compromesso. La relazione USA-Turchia ha raggiunto il minimo storico dopo l’annuncio del presidente Trump dello scorso dicembre di voler ritirare nel 2019 le truppe americane impiegate in Siria. L’annuncio è stato accolto con favore da Erdogan poichè senza il sostegno americano i combattenti YPG siriani-curdi, etichettati come “terroristi” da Ankara, diventerebbero più vulnerabili alla potenziale azione militare turca. Una reazione, quella paventata dalla Turchia, fortemente sconsigliata dall’amministrazione Trump.
Nel frattempo, diversi paesi europei stanno registrando l’influenza di Ankara verso le minoranze turche all’interno dei propri confini. La Germania e i Paesi Bassi hanno subito diversi incidenti, in particolare in vista delle elezioni presidenziali turche del giugno 2018. Per quanto riguarda la NATO, invece, la Turchia si sta mostrando bivalente. Da un lato, il paese continua a considerare l’Alleanza come indispensabile per la sua sicurezza: la Turchia contribuisce a diverse operazioni della NATO, in Medio Oriente e in Kosovo; di contro il presidente Erdogan ha apertamente messo in discussione l’adesione alla NATO laddove le sanzioni statunitensi non verranno revocate.
Anche le epurazioni turche stanno agitando e non poco i vertici Nato. Militari turchi in servizio in posizioni di rielievo nella catena di comando della NATO, prima del colpo di stato del 2016, hanno ricevuto l’ordine di tornare in Turchia e molti di loro sono finiti in tribunale accusati di aver sostenuto il colpo di stato.
Erdogan usa il termine “atlantisti” per questi ex ufficiali della NATO. In altre parole, l’atlantismo ha una connotazione negativa in Turchia. Un sondaggio del 2017 ha evidenziato che la popolazione turca considera gli Stati Uniti come la minaccia più seria per la sicurezza del Paese, anche più della Russia e Cina. C’è anche il serio pericolo che i militari turchi diventino meno orientati alla NATO e più filo-russi. Con il suo partito (l’APK) che sta facendo sempre più presa su molte istituzioni statali e sta generando un considerevole sostegno tra la popolazione, le probabilità sono nell’ulteriore Erdoganizzazione della Turchia, in funzione filorussa.
L’Europa deve, quindi, compiere un vero passo in avanti e cercare di contare maggiormente nella NATO per curare gli interessi regionali sia dai pericoli da Est sia da Sud. L’idea di una Difesa Comune Europea potrebbe costituire l’inizio di una nuova fase strategica per poter competere a livello globale con i nuovi competitor, Russia, Cina, India etc., soprattutto alla luce del fatto che gli Stati Uniti hanno perso, nel tempo, la propria sfera d’influenza, maggiormente depauperata oggi dalla politica estera “altalenante” di Trump.