(di Roberta PREZIOSA) L’Alzheimer, una patologia neurologica degenerativa del cervello, colpisce nel mondo una persona ogni tre secondi. E’ una patologia subdola che, a causa della morte delle cellule nervose provocata all’accumulo progressivo e tossico di molecole come la proteina tau e la beta amiloide, offusca la mente e la capacità di un individuo di riconoscere ciò che lo circonda.
Sebbene medicina e farmacologia abbiano fatto notevoli progressi, ad oggi, non sono ancora disponibili cure farmacologiche risolutive.
I ricercatori, anche in assenza dei sintomi della malattia, stanno puntando, però, alla prevenzione e alla diagnosi precoce cercando di esplorare ogni strada possibile.
Un estratto di zafferano potrebbe aiutare a contrastare l’evoluzione della malattia di Alzheimer. Per ora si tratta solo di una speranza, anche perché gli studi sono stati condotti solamente in provetta.
Lo zafferano è un complesso di molecole che include potenti antiossidanti, come pure molecole bioattive, quali crocine e crocetine, i due principali componenti attivi della spezia con un potenziale neuroprotettivo enorme.
Nello studio in questione condotto in Italia, effettuato su cellule immunitarie di 22 pazienti, uomini e donne con la forma più diffusa di Alzheimer e un quadro di declino cognitivo, l’estratto della spezia è risultato, infatti, sia in grado di favorire la degradazione della proteina tossica beta-amiloide, la principale indiziata tra le cause della malattia, sia in grado di attivare l’enzima degradativo catepsina B, rendendolo più efficiente.
La ricerca, condotta da Antonio Orlacchio, direttore del Laboratorio di Neurogenetica del Centro europeo di ricerca sul cervello (Cerc) dell’Irccs Santa Lucia di Roma e professore di Genetica medica all’Università di Perugia, è stata pubblicata sul Journal of the Neurological Sciences. “Questo tipo di studio, effettuato per ora a livello cellulare, potrebbe essere alla base di nuovi farmaci mirati contro questa malattia che colpisce nel mondo una persona ogni tre secondi”– spiega il professore.
Questi dati, conclude Orlacchio, suggeriscono che l’integrazione dietetica con zafferano potrebbe essere testata su pazienti con la forma non ereditaria di Alzheimer (quella più diffusa) al fine di verificare “in vivo” il potenziale di questa spezia nel contrastare l’accumulo di beta-amiloide, che è probabilmente il risultato di uno sbilanciamento tra i processi di produzione e degradazione del peptide.
La maggior parte dei ricercatori ritiene che la prevenzione sia il futuro per la ricerca del problema dell’Alzheimer. Anche la University of Albama at Birmingham ha affermato che la comunità scientifica per la ricerca dell’Alzheimer si sta focalizzando molto di più sul trattamento preventivo.
La via dello zafferano rientra tra le ricerche dedicate alla prevenzione della malattia.