La proposta italiana: art. 5 della Nato per Kiev

di Emanuela Ricci

L’intensa attività diplomatica delle ultime settimane ha riportato in primo piano il dibattito su quale debba essere il ruolo della NATO e delle Nazioni Unite nel garantire la sicurezza dell’Ucraina dopo un eventuale cessate il fuoco con la Russia. La premier italiana Giorgia Meloni si è fatta portavoce di una proposta ambiziosa: l’estensione dell’Articolo 5 del Trattato Nord Atlantico a Kiev, senza un’adesione formale dell’Ucraina all’Alleanza. Un’idea accolta con interesse da Volodymyr Zelensky, ma che si scontra con resistenze internazionali, in particolare da parte di Donald Trump e di alcuni Paesi europei.

Durante il recente Consiglio europeo, Meloni ha ribadito la necessità di un meccanismo di difesa credibile per Kiev, che impedisca alla Russia di riprendere le ostilità dopo un accordo di pace. La sua proposta prevede l’applicazione dell’Articolo 5 della NATO, il quale stabilisce che un attacco a un Paese membro è considerato un attacco a tutta l’Alleanza. Questo concetto, adattato alla situazione ucraina, garantirebbe una protezione immediata e un deterrente significativo nei confronti di Mosca.

Tuttavia, la fattibilità politica e operativa della proposta resta complessa. L’Articolo 5 è stato invocato una sola volta nella storia della NATO, dopo l’11 settembre 2001, e non si applica automaticamente. Ogni Stato membro ha la libertà di decidere come e in quale forma rispondere a un’aggressione. Inoltre, Washington ha già espresso riserve sull’impegno diretto delle proprie forze armate in un contesto così delicato, soprattutto sotto una presidenza Trump che ha sempre dimostrato una certa freddezza nei confronti del coinvolgimento americano in scenari europei.

La missione ONU di peacekeeping

Accanto alla proposta sull’Articolo 5, prende piede un’altra ipotesi: una missione internazionale di peacekeeping sotto l’egida delle Nazioni Unite. Questa soluzione, appoggiata da Emmanuel Macron e Keir Starmer, prevede il dispiegamento di truppe in aree sicure del territorio ucraino, senza un coinvolgimento diretto nelle operazioni di combattimento. L’obiettivo è stabilizzare il Paese dopo la fine delle ostilità, scoraggiando nuovi attacchi russi. L’Italia ha mostrato disponibilità a partecipare a una missione del genere, ma solo a condizione che venga approvata una risoluzione ONU. Qui, però, emerge un ulteriore ostacolo: il probabile veto russo nel Consiglio di Sicurezza. Proprio per questo, Londra e Parigi stanno valutando l’ipotesi di un intervento basato su accordi multilaterali tra “Paesi volenterosi”, aggirando il blocco russo. Anche in questo caso, però, la mancanza di un chiaro coinvolgimento americano solleva dubbi sull’efficacia e la sostenibilità a lungo termine di una simile operazione.

L’Europa e la sfida della sicurezza comune

L’attivismo di Macron e Starmer ha messo in difficoltà Giorgia Meloni, che teme di perdere centralità nel dibattito sulla sicurezza europea. Finora, la premier italiana è riuscita a mantenere un canale diretto con Trump, tentando di convincerlo a riconoscere un ruolo più rilevante all’Unione Europea nella gestione della crisi. Tuttavia, il tycoon sembra preferire un dialogo bilaterale con i singoli leader, lasciando Bruxelles ai margini. Sul fronte europeo, Meloni ha provato a coinvolgere Francia e Germania in un direttorio comune per coordinare la risposta alla crisi ucraina. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani è al lavoro per ricucire i rapporti con Parigi, soprattutto dopo le recenti tensioni tra Macron e alcuni esponenti del governo italiano. Tuttavia, la proposta italiana sull’Articolo 5 non ha trovato un sostegno unanime tra i partner europei, che temono di innescare un’escalation con Mosca.

Il dilemma principale resta dunque la sostenibilità di qualsiasi piano di protezione per Kiev. Da un lato, un’estensione dell’Articolo 5 appare difficile da attuare senza un impegno concreto degli Stati Uniti. Dall’altro, una missione ONU è ostacolata dal veto russo e dalle divisioni interne all’UE.

Nel frattempo, Zelensky continua a premere per garanzie di sicurezza concrete, senza le quali un accordo di pace rischia di essere solo una tregua temporanea prima di nuove aggressioni russe. La partita si gioca su più tavoli: quello diplomatico, con le trattative tra le capitali europee e Washington; quello militare, con la necessità di rafforzare la deterrenza; e quello politico, con il tentativo di costruire un consenso internazionale attorno a una soluzione praticabile.

L’Italia, con la sua proposta, cerca di inserirsi in questo complesso scenario come mediatrice tra Europa e Stati Uniti. Ma il tempo stringe, e senza una risposta chiara da parte della Casa Bianca, il rischio è che le iniziative europee restino lettera morta.

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