La Russia accelera il riarmo e accende la paura nei Paesi Baltici

di Antonio Adriano Giancane

Il conflitto in Ucraina ha messo in evidenza una dinamica complessa, con la Russia che continua a spingere per una cessazione dei rifornimenti di armi all’Ucraina, accusando i Paesi occidentali di alimentare la guerra. La richiesta russa per fermare il flusso di aiuti militari a Kyiv viene presentata come una condizione necessaria per arrivare a una pace, ma, parallelamente, Mosca sta intensificando la sua produzione militare. A fronte di questa spinta al riarmo, emergono diverse preoccupazioni su come la Russia possa sfruttare le sue capacità belliche per ottenere, con la forza, ciò che non riesce a negoziare diplomaticamente.

L’industria bellica russa, infatti, è in grado di produrre quotidianamente 12.320 proiettili di artiglieria, un quantitativo che supera di gran lunga i rifornimenti occidentali all’Ucraina. Le stime suggeriscono che in un anno la Russia sarà in grado di produrre 4,5 milioni di proiettili (l’UE 1.5 Mln), per un valore complessivo di 4,5 miliardi di dollari, mantenendo un ritmo produttivo che difficilmente rallenterà nel 2024. Se da un lato questo significa che la Russia ha un vantaggio sul piano delle munizioni, dall’altro solleva il dubbio su come Putin voglia ancora  utilizzare la sua potenza militare.

Con una simile capacità produttiva, Mosca non solo è in grado di sostenere la propria macchina da guerra sul campo, ma potrebbe anche avere l’intenzione di concentrarsi su un’offensiva più massiccia, puntando a distruggere rapidamente le capacità difensive ucraine. In particolare, la potenza di fuoco russa potrebbe mettere l’Ucraina in una posizione sempre più difficile, costringendo il governo di Zelensky a considerare la possibilità di accettare le condizioni imposte da Mosca, incluse le cessioni territoriali nelle regioni conquistate.

L’Europa si trova oggi ad affrontare una crescente minaccia russa, in un contesto in cui la nuova posizione degli Stati Uniti ha ridotto il livello di protezione offerto alla regione, come invece avveniva durante l’amministrazione Trump. In risposta a questa dinamica, l’Unione Europea ha messo in campo il piano  “ReArm EU” che prevede un riarmo senza precedenti, con l’obiettivo di mobilitare quasi 800 miliardi di euro entro il 2030 per rafforzare la propria capacità di difesa. I timori europei e in particolare dei Paesi Baltici è quella di vedere una estensione del conflitto, oltre i confini ucraini.

I Paesi Baltici – Estonia, Lettonia e Lituania – sono particolarmente vulnerabili a questa minaccia. Questi Stati, che hanno ottenuto la loro indipendenza dall’Unione Sovietica solo nel 1991, temono fortemente che la Russia, dopo aver consolidato il suo controllo sull’Ucraina, possa riprendere il i conti in sospeso con queste regioni, che Mosca considera tradizionalmente parte della sua sfera di influenza. Il timore che l’aggressione russa possa spingersi verso le loro terre è amplificato dalla consapevolezza che la NATO, pur essendo un’alleanza difensiva, potrebbe non essere in grado di rispondere con la stessa rapidità ed efficacia a causa dei crescenti dubbi sull’impegno degli Stati Uniti, ormai meno inclini a garantire la sicurezza della regione.

Questa crescente incertezza ha spinto i Paesi Baltici a rafforzare la propria difesa e a sollecitare un’ulteriore presenza militare della NATO sul loro territorio. L’espansione della produzione bellica russa, con un rinnovato focus sulla modernizzazione delle sue forze armate, alimenta la paura che Putin possa non solo continuare a esercitare pressioni su Kiev, ma anche tentare di ricostruire l’egemonia russa sulle ex repubbliche sovietiche. Per i Paesi Baltici, quindi, la minaccia è doppia: oltre al rischio di una destabilizzazione della propria sicurezza interna, c’è anche il timore che la Russia possa cercare di annullare la loro sovranità, spingendo l’Europa e la NATO a fronteggiare una crisi che potrebbe compromettere la stabilità dell’intera regione.

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