di Antonio Adriano Giancane
La Russia, attraverso la compagnia militare privata nota con il nome “Gruppo Wagner” si è assicurata una presenza significativa in vari paesi africani, tra cui la Repubblica Centrafricana, il Sudan, la Libia e il Mali.
Il Gruppo, operando apparentemente al di fuori del controllo ufficiale del governo russo, ha fornito servizi di sicurezza, supporto militare e consulenza strategica imbastendo una rete oscura di consiglieri politici, imprenditori e mercenari, stringendo alleanze con vari governi africani, offrendo supporto militare e diplomatico in cambio di accesso alle risorse naturali (oro, litio, terre rare e materiali cricici etc.).
La presenza della Wagner in Africa era stata da sempre oggetto di considerazioni contrastanti: mentre alcuni governi locali vedevano il gruppo come un utile alleato nella lotta contro ribelli e terroristi, altri attori internazionali hanno accusato la Wagner di violazioni dei diritti umani e destabilizzazione regionale.
Dopo la morte di Yevgeny V. Prigozhin, il magnate un tempo amico e alleato del presidente russo Vladimir V. Putin, avvenuta lo scorso 23 agosto, il Ministero della Difesa russo ha preso il controllo della Wagner in Africa inglobandola in un gruppo più grande, l’Africa Corps.
Secondo quanto riferito da funzionari occidentali, alla fine dello scorso anno alcune centinaia di istruttori dell’Africa Corps sono giunti nell’Africa Occidentale e da aprile di questo anno circa altri 100 istruttori sono giunti in Niger per addestrare le sue forze armate, un compito che fino a poco tempo fa era stato condotto da Stati Uniti e Francia. In Niger sono rimaste solo truppe italiane e tedesche, inserite in missioni a seguito di accordi bilaterali.
I mercenari di Africa Corps sono stati impiegati anche in Libia, considerata dalla Russia un hub logistico per i dispiegamenti militari nell’Africa sub-sahariana. Mosca intende prendere possesso del porto di Tobruk per costituire una sua base militare, grazie all’appoggio del signore della Cirenaica, il generale Kalifa Haftar.
Ritornando alle faccende africane, possiamo quindi dire che Africa Corps non solo ha sostituito di fatto il Gruppo Wagner con la fornitura di guardie del corpo, truppe di terra, operatori di droni e specialisti di guerra elettronica ma funge anche da copertura per le attività paramilitari russe nel continente.
Secondo quanto riportato dal New York Times, in un rapporto scritto da Oleksandr V. Danylyuk del Royal United Services Institute di Londra, centro che monitora le operazioni ibride di Mosca, l’obiettivo dell’Africa Corps, appare lo stesso della Wagner: “stabilire il controllo ed aumentare l’influenza russa in diversi Paesi africani, in funzione antioccidentale“.
L’obiettivo della Russia appare chiaro: ottenere potere geopolitico e accesso alle risorse naturali in Africa, competendo così con altri attori globali come Cina, Stati Uniti, Turchia e Emirati Arabi Uniti. Il Gruppo Wagner prima e Africa Corps oggi continuano ad indebolire gli interessi occidentali nel continente, sostituendosi alle truppe europee e statunitensi e alle forze di pace dell’ONU.
Per contrastare l’influenza russa in Africa, l’Occidente dovrebbe adottare una strategia trasversale che comprenda aspetti diplomatici, economici e di sicurezza. Ma soprattutto servono finanziamenti ingenti per competere alla pari con i miliardi di dollari che la Cina investe da almeno dieci anni in Africa tramite i suoi colossi industriali “statali”. Pechino con una strategia meno evidente ma più efficacie si affida al cosiddetto “soft power” per influenzare paesi e popolazioni locali costruendo infrastrutture essenziali (strade, autostrade, scuole, ospedali, palazzi governativi e centri commerciali) in cambio di contratti trentennali nell’estrazione di risorse minerarie, terre rare e di idrocarburi.
È essenziale incrementare, pertanto, gli impegni diplomatici con i paesi africani attraverso visite ufficiali, summit e partenariati strategici. Offrire assistenza economica e tecnica mirata, che risponda direttamente alle esigenze locali come infrastrutture, sanità e istruzione. Solo così si può tentare di guadagnare il terreno perduto, creando un legame più forte e più duraturo ispirato alla fiducia reciproca.
Bisognerà promuovere investimenti in progetti di sviluppo sostenibile, energie rinnovabili e tecnologie innovative. Facilitare l’accesso al mercato per i prodotti africani, migliorando le opportunità commerciali e creando posti di lavoro, contribuirà a costruire economie africane più resilienti e indipendenti e non con spirito predatorio come in passato. In tale ottica il Piano Mattei per l’Africa, promosso dall’Italia e mutuato dall’Unione Europea potrà davvero costituire quel cambio di passo comunitario tanto auspicato a favore del Continente Nero con un approccio diverso e più credibile.
Oltre a sostenere iniziative per il rafforzamento delle istituzioni democratiche e la lotta alla corruzione è necessario finanziare programmi per la promozione dei diritti umani e la partecipazione civile per aiutare a costruire società più giuste e trasparenti. Allo stesso tempo l’Occidente dovrà continuare a fornire addestramento militare e supporto logistico per migliorare le capacità delle forze armate locali per non farle assorbire dalle logiche militari di paesi come Cina, Russia e Iran. Occorrerà pertanto intensificare le operazioni congiunte contro il terrorismo e le minacce transnazionali mediante l’avvio di nuove missioni militari, magari anche sotto egida UE.
Solo adottando un approccio olistico che affronti sia le esigenze immediate che le sfide a lungo termine dei paesi africani, l’Occidente potrà offrire un’alternativa più attraente alla presenza sino-russa. Questo contribuirà a stabilizzare la regione e a promuovere una crescita sostenibile e inclusiva, creando un contesto in cui i paesi africani possano prosperare indipendentemente dalle influenze esterne.
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