La Russia in Siria in mezzo al guado

di Andrea Pinto

La Russia ha mostrato i muscoli nel Mediterraneo orientale con una serie di esercitazioni navali e missilistiche al largo della Siria, una mossa che sembra voler rispondere all’avanzata dei ribelli siriani e al rischio di perdere le posizioni strategiche nella regione. Le operazioni, condotte da tre fregate, un sommergibile e altre unità ausiliarie, hanno incluso il lancio di missili ipersonici Zirkon e missili da crociera Kalibr. Il Cremlino ha diffuso un comunicato dal tono minaccioso, coerente con la narrativa aggressiva degli ultimi mesi, in cui Vladimir Putin ha enfatizzato più volte la potenza del suo arsenale militare.

La situazione in Siria si sta complicando per Mosca. L’avanzata dei ribelli siriani minaccia l’accesso alle basi russe di Tartus e Hmeymim, cruciali per le operazioni della flotta e dell’aviazione russa. La scelta di schierare le navi per esercitazioni potrebbe essere interpretata come una precauzione per salvaguardare asset strategici. Parallelamente, vi sono segnali di disordini interni al contingente russo in Siria, con la sostituzione improvvisa del comandante, affidato al generale Aleksandr Chaiko, noto per i fallimenti nella campagna ucraina del 2022.

Le risorse di Mosca sono ormai limitate, poiché gran parte dei reparti scelti è impegnata nel conflitto in Ucraina. Questo doppio fronte mette a dura prova la capacità russa di sostenere l’esercito siriano, che appare sempre più fragile e incapace di reagire alle offensive ribelli. A ciò si aggiunge il peso crescente delle sanzioni economiche e dei costi della guerra, che stanno erodendo la stabilità interna ed economica della Russia.

Il destino del regime di Bashar al-Assad sembra legato alla volontà della Russia e dell’Iran. Teheran ha segnalato la disponibilità ad inviare truppe per sostenere Assad, considerando vitale il mantenimento dell’alleato siriano per i propri interessi strategici in Libano e nella regione. Per Putin, la Siria rappresenta, invece, un simbolo della sfida geopolitica agli Stati Uniti, ma la perdita di basi come Tartus potrebbe essere compensata con un riposizionamento delle navi in Libia, sotto la protezione del generale Haftar.

La telefonata tra Putin e Recep Tayyip Erdogan, descritta in toni diplomatici, suggerisce un possibile tentativo di negoziare una soluzione attraverso il cosiddetto “formato di Astana”, che coinvolge Russia, Turchia e Iran. Tuttavia, Erdogan rappresenta una figura ambivalente per Mosca, con un rapporto fatto di convergenze tattiche ma profonde divergenze strategiche. Sullo sfondo, gli ayatollah iraniani rimangono un alleato fondamentale, soprattutto per il supporto militare fornito alla Russia nella guerra in Ucraina, ma i loro interessi in Siria non sempre coincidono con quelli di Mosca.

Il futuro di Assad potrebbe diventare una pedina nelle dinamiche negoziali del Cremlino, forse anche in relazione alle relazioni con l’Occidente. Tuttavia, resta da vedere se Putin sarà disposto a sacrificare l’alleato siriano in nome del pragmatismo geopolitico o se continuerà a perseguire una linea di lealtà verso la sua strategia di alleanze con Iran e Siria.

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