(di Maria Stefania Cataleta) Verso il conflitto russo-ucraino i Paesi occidentali hanno mostrato quella compattezza che è mancata sin dal primo momento ai Paesi del Sud del mondo, in particolar modo l’Africa. La dimostrazione più eclatante di ciò si è avuta con la risoluzione dell’AG del 2 marzo 2022, con cui si condannava l’aggressione e si chiedeva il ritiro immediato delle truppe russe dal Paese aggredito. Il mancato supporto a tale risoluzione è provenuto, in larga misura, dai Paesi africani, che non sono stati tra i 141 (su 193) Stati a pronunciarsi favorevolmente. Lo stesso lassismo su tale problema è possibile riscontrarlo in seno alla stessa Unione Africana (UA), i cui 54 Stati membri hanno stentato a superare le divisioni interne su tale questione.
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V’è da chiedersi se tali astensioni africane non abbiano a che fare con la sempre più massiccia presenza della Russia in Africa, come in Mali e nella Repubblica Centrafricana, anche in considerazione del fallimento di ex Potenze coloniali in taluni Paesi di questo continente, come la Francia in Mali, dove la brigata Wagner da tempo si è insediata come elemento di ordine e stabilità, in sostituzione dei peacekeeper francesi. O forse l’Africa non intende seguire l’Occidente, che ha spesso voltato lo sguardo rispetto a conflitti che l’hanno vista come protagonista e vittima, come quando si chiedeva la fine della guerra in Algeria?
Il Ministro degli Esteri russo Lavrov, nella sua “campagna d’Africa” dell’estate 2022, è stato accolto con favore da Egitto, Etiopia, Congo e Uganda, mentre accusava il colonialismo occidentale reo, a suo dire, di aver provocato la guerra e di affamare l’Africa. Egli ha dichiarato che la Russia vuole un nuovo ordine internazionale multipolare in cui siano inclusi anche gli Stati africani, che attualmente sottostanno all’imperialismo statunitense. La Russia trova terreno fertile per la sua propaganda in questi Paesi devastati da conflitti etnici, violenza terroristica, crisi pandemiche e fame. Non è un caso che siano ben 25 gli Stati africani che, astenendosi, non hanno sottoscritto le risoluzioni ONU di condanna della guerra in Ucraina. Oggi si assiste ad un cambio di rotta nell’atteggiamento dei Paesi africani a fronte del ricatto russo sul transito delle navi che trasportano il grano. Ma si assiste anche ad una refrattarietà africana verso la guerra in Ucraina per il risentimento dell’Africa verso l’Occidente per tutto l’interesse e il coinvolgimento profuso in questa guerra e non in altre crisi che hanno interessato e ancora affliggono il continente africano.
Questo Occidente, in poche parole, non sarebbe imparziale e giusto, a tutto detrimento dell’Africa, come dimostrerebbero il trattamento privilegiato riservato ai profughi ucraini e le sperequazione nella distribuzione del vaccino durante la pandemia da CO VID-SARS-2. Inoltre, l’Occidente, con l’imposizione di sanzioni alla Russia, in nome della solidarietà con l’Europa, chiederebbe ai Paesi africani dei sacrifici che questi non sono disposti ad affrontare, per giunta per una pace estranea ai loro interessi.
Un’altra ragione addotta sarebbe quella per cui i dictat delle grandi potenze in tale contesto non vengono ritenuti credibili né accettabili in quanto provenienti da Paesi che in pas sato non si sono mostrati rispettosi di quello stesso diritto internazionale di cui oggi chiedono l’osservanza. Sono sempre vivi i ricordi dell’Iraq, nel 2003, del Kosovo, nel 1999, e della Libia di Gheddafi, la cui violenta destituzione ha prodotto tante conseguenze nefaste nel Sahel, tra cui il terrorismo islamico. A ben vedere, però, è difficile paragonare quegli eventi con l’odierno conflitto in Ucraina, poiché gli interventi in Libia e in Iraq furono supportati da una larga fascia della popolazione vittima di regimi dittatoriali, mentre gli ucraini non erano favorevoli all’invasione russa né ad un cambio di governo, che era democratico ed europeista.
L’alleanza con una potenza nucleare come la Russia, che è anche membro permanente al CdS, rappresenta certamente una garanzia da preservare per il perseguimento degli interessi dei Paesi africani che, in tal modo, non si sentono più marginalizzata di fronte al resto del mondo, rifiutando un atteggiamento reverenziale rispetto alle vecchie potenze coloniali, che ora si trovano nella posizione scomoda di dover chiedere aiuto all’Africa. Ma è l’Africa ad avere ancora bisogno dell’aiuto dell’Occidente, reo di chiudere gli occhi di fronte a tutte le minacce alla pace e alla sicurezza internazionale provenienti dal continente nero, prima fra tutte il terrorismo jihadista che infesta il Sahel, per non parlare di tutti i problemi legati al cambiamento climatico, alla crisi alimentare e alle diverse pandemie, rispetto a cui i capi di Stato africani hanno denunciato tutto il fallimento del multilateralismo di matrice occidentale.
L’Algeria ed il Marocco, ad esempio, hanno rafforzato il loro legame con la Federazione Russa proprio in concomitanza con la guerra in Ucraina, in forza del presunto rispetto del principio di non ingerenza negli affari interni di un altro Stato. L’Algeria si è astenuta in seno all’AG quando si è trattato di votare contro la Russia e si è spinta oltre, votando a sfavore nella decisione sulla esclusione della Russia dal Consiglio per i diritti umani dell’ONU. In realtà, sono interessi militari a orientare l’Algeria in senso filorusso, essendo questo Paese il terzo importatore mondiale di armi russe dopo l’India e la Cina. La sequela di esercitazioni militari congiunte rinsalda la cooperazione tra Russia e Algeria, come ha dimostrato l’operazione “Vostok 2022” in Siberia, con la partecipazione anche di Cina e Bielorussia.
Le astensioni all’ONU dell’Algeria e le solide relazioni militari russo-algerine sono fonte di preoccupazione per l’Occidente, a cui l’Algeria risponde rivendicando la propria sovranità in materia di difesa e sostenendo la propria neutralità rispetto al conflitto ucraino. Del resto, una contrapposizione netta contro l’Algeria non conviene nemmeno a quell’Europa che, distaccandosi dalla Russia nell’approvvigionamento di idrocarburi, si rivolge ora al mercato algerino.
La stessa asserita neutralità ha riguardato il Marocco, an ch’esso astenutosi in diverse votazioni all’ONU contro la Russia. Il Marocco è il primo partner commerciale di Mosca in Africa, rifornendosi di fertilizzanti e prodotti per l’agricoltura. Inoltre, sempre nell’ambito della cooperazione russo-marocchina, è in progetto la costruzione di una centrale nucleare in territorio marocchino sia pur per scopi pacifici.
Altre ragioni geopolitiche spingono il Marocco verso un atteggiamento morbido con l’alleato russo, in virtù della sua posizione di membro permanente al CdS a cui si chiede un appoggio sulla questione del Sahara occidentale, rispetto alla quale l’Algeria invoca il rispetto del principio dell’autodeterminazione del popolo saharaoui e il sostegno agli indipendentisti del Fronte Polisario. Su tale questione fino ad ora il Cremlino ha adottato una posizione equilibrata non ostile al Marocco, vista la rottura dei rapporti diplomatici tra Marocco e Algeria, le cui popolazioni presentano entrambe un atteggiamento marcatamente filorusso e un’insoferenza verso l’Ucraina.
Secondo le recriminazioni africane, i Paesi dell’Occidente sembrerebbero piuttosto intenti ad imporre agli altri un ordine internazionale più confacente ai propri interessi che a quelli della comunità internazionale tutt’intera ed in questo ordine di recriminazioni si reclama un ruolo più rilevante dell’Africa nei consessi internazionali quali il G20 o il Consiglio di Sicurezza, dove l’Unione africana e i Paesi che essa rappresenta rivendicano una presenza permanente.
Tuttavia, il ricorso alla classificazione di Paesi non allineati, se poteva avere un senso durante la Guerra Fredda nella presa di distanza rispetto alla contrapposizione tra i due blocchi, oggi sembra un concetto debole per giustificare una pretesa neutralità rispetto al conflitto in Ucraina, dove si è di fronte ad una manifesta violazione della Carta dell’ONU, perpetrata attraverso uno stravolgimento delle frontiere di una nazione sovrana e indipendente mediante l’uso della forza da parte, per giunta, di un membro permanente del Consiglio di Sicurezza.