(di Andrea Pinto) La settimana scorsa la ministra della Difesa francese Florence Parly aveva detto, durante un’intervista radiofonica, che la Francia non è costretta a mantenere una propria presenza militare in Mali a tutti i costi. Fonti aperte fanno sapere che la decisione del governo transalpino di ritirarsi dal Mali potrebbe essere presa già nelle prossime due settimane.
La nuova linea d’azione francese, a seguito delle tensioni tra il Mali e i suoi partner internazionali, compresi gli organi regionali e l’Unione Europea, che hanno sanzionato il paese africano poichè la giunta militare, nonostante le promesse, non ha ancora organizzato libere elezioni.
Ma lo scontro politico fra la giunta militare e la Francia ha raggiunto un livello di tensione altissimo quando l’altro giorno il governo golpista di Bamako ha deciso di espellere l’ambasciatore francese dal Paese. L’annuncio è stato dato con un comunicato letto alla tv statale Ortm: “Il Governo della Repubblica del Mali informa l’opinione nazionale e internazionale che oggi l’ambasciatore di Francia a Bamako, Joël Meyer, è stato convocato dal ministro degli Affari Esteri e che gli è stata notificata la decisione che lo invita a lasciare il territorio nazionale entro 72 ore”.
Molto discussa è stata anche la presenza ingombrante in Mali di mercenari russi del gruppo privato Wagner, molto vicino al Cremlino ed inserito nella lista nera dalla Comunità Internazionale a causa di pesanti accuse di violazione dei diritti umani.
Nel frattempo la Danimarca ha iniziato a ritirare le sue truppe dal Mali dopo che il governo della giunta di transizione, sempre la scorsa settimana, ha insistito per un ritiro immediato.
La decisione della giunta di chiedere ufficialmente alla Danimarca di andarsene si sta ripercuotendo anche su altri schieramenti che avevano dato la propria disponibilità ad integrare gli sforzi dell’operazione internazionale a guida francese Takuba. La Norvegia, infatti, ha annunciato di ritirare la propria disponibilità, mentre Ungheria, Portogallo, Romania e Lituania stanno valutando attentamente l’invio di proprie truppe, alla luce degli sviluppi di questi ultimi giorni.
La giunta militare maliana, per dirimere ogni dubbio, tramite i media locali ha fatto sapere che tutti gli impegni nazionali stranieri nella Task Force Takuba potranno essere autorizzati solo a seguito di invito scritto da parte del Presidente della Repubblica e dopo l’approvazione del Governo della Repubblica del Mali. Non è ancora chiaro se si tratta di una condizione solo per future adesioni nazionali, ovvero se rivolta anche a nazioni oggi presenti in teatro operativo, come l’Italia.
L’Italia nel Sahel
Il nostro Paese è presente in quel territorio con la “Missione bilaterale di supporto nella Repubblica del Niger – MISIN” (con area geografica di intervento allargata anche a Mauritania, Nigeria e Benin) al fine di incrementare le capacità volte al contrasto del fenomeno dei traffici illegali e delle minacce alla sicurezza, nell’ambito di uno sforzo congiunto europeo e statunitense per la stabilizzazione dell’area e il rafforzamento delle capacità di controllo del territorio da parte delle autorità nigerine e dei Paesi del G5 Sahel.
La missione, comandata dal colonnello pilota dell’Aeronautica Militare, Davide Cipelletti, oltre al controllo delle frontiere e del territorio, supporta le autorità nigerine e dei Paesi del G5 Sahel (Niger, Mali, Mauritania, Chad e Burkina Faso), a sviluppare le capacità delle Forze di sicurezza nigerine (Forze armate, Gendarmeria Nazionale, Guardia Nazionale e Forze speciali della Repubblica del Niger).
Circa 200 militari italiani opererano, invece, all’interno della TF Takuba, garantendo capacità di evacuazione medica del personale della coalizione in operazione mediante l’impiego dei 3 velivoli da trasporto CH 47 F dell’Esercito, in configurazione medevac che si avvalgono della necessaria cornice di sicurezza assicurata dai 3 elicotteri da esplorazione e scorta AH – 129D “Mangusta”, del 5° e 7° reggimento della Brigata Aeromobile dell’Esercito, inquadrati nella Task Force “Jacana”.
Sahel territorio di colpi di stato
Sono più di 114 milioni le persone governate da militari che hanno preso il potere illegalmente. Ci sono stati quattro colpi di stato riusciti in Africa nel 2021: non ce ne sono stati così tanti in un solo anno solare dal 1999. Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres l’ha definita “un’epidemia di colpi di stato”.
Negli ultimi 18 mesi i militari hanno rovesciato i governi del Mali, del Ciad, della Guinea, del Sudan e ora del Burkina Faso. Venerdì i leader dell’Africa occidentale hanno convocato un vertice di emergenza sulla situazione in Burkina Faso, dove il nuovo leader militare, il tenente colonnello Paul-Henri Damiba, ha detto alla nazione, nel suo primo discorso pubblico, che avrebbe riportato il Paese alla Costituzione ordinaria “solo quando le condizioni sarebbero state favorevoli“.
La recrudescenza dei colpi di stato ha allarmato i pochi leader civili rimasti nella regione. Il presidente del Ghana, Nana Akufo-Addo ha dichiarato venerdì: “La situazione attuale rappresenta una minaccia alla pace, alla sicurezza e alla stabilità nell’Africa occidentale”.
Queste cinque nazioni che hanno recentemente sperimentato colpi di stato militari formano una linea spezzata che si estende dalla Guinea, sulla costa occidentale, al Sudan ad est. Il primo colpo di stato è arrivato dal Mali, nell’agosto 2020, mentre un insolito colpo di stato si è svolto in Ciad nell’aprile 2021, quando il presidente che aveva governato per tre decenni è stato ucciso sul campo di battaglia ed è stato subito sostituto da suo figlio, in piena violazione della Costituzione vigente.
Nel marzo 2021 c’è stato un fallito tentativo di colpo di stato in Niger, poi nel settembre 2021 è stata la volta della Guinea: un alto ufficiale, addestrato dagli Stati Uniti, ha rovesciato il presidente reggente. Poi, in ottobre, il Sudan: i generali del paese hanno preso il paese, tramite un accordo di condivisione del potere che avrebbe dovuto portare a elezioni.
Terreno fertile per i golpisti. La gente è stufa dei loro governi per molte ragioni: per la mancanza di sicurezza, per il susseguirsi di disastri umanitari e per l’incertezza di un futuro migliore per milioni di giovani. Poi tutti e tre i paesi del Sahel con recenti colpi di stato – Mali, Burkina Faso e Ciad – sono alle prese con insurrezioni islamiste che continuano a diffondersi, sfruttando le tensioni locali e l’avversità generale contro le élite politiche. Il colpo di stato in Mali, infatti, è avvenuto anche a causa dell’incapacità del governo di arginare la diffusione di gruppi alleati di Al Qaeda e dello Stato Islamico.
Le sanzioni come boomerang
Il blocco economico regionale, ECOWAS, ha imposto pesanti sanzioni economiche con l’intento di portare alla rivolta i maliani contro la giunta ed esercitare pressioni sui leader militari affinché si impegnassero ad indire libere elezioni.
“Quello che sta succedendo è l’esatto opposto”, ha detto Ornella Moderan, responsabile del Programma Sahel dell’Institute for Security Studies di Pretoria. Le sanzioni hanno ottenuto l’effetto contrario suscitando la rabbia, contro l’ECOWAS e non contro la giunta militare.
Anche nella vicina Guinea e in Burkina Faso la popolazione ha salutato i leader dei golpe come liberatori. I golpe del Mali hanno, quindi, ispirato gli altri paesi circostanti grazie alla nuova narrativa che si è voluta sapientemente diffondere: “Chiunque prenda il potere ora, deve seguire l’esempio del Mali, ovvero cacciare la Francia ed iniziare a prendere le decisioni nazionali autonomamente”.